Vladimir "Vlada" Divljan nasce a Belgrado nel 1958. Si appassiona alla musica all'età di dieci anni, quando è in vacanza con i genitori sulla costa adriatica, a Tucepi, in Dalmazia, dove rimane affascinato dalla band che suona tutte le sere nel bar dell’hotel Jadran. Tornato a Belgrado, forma subito un gruppo insieme ai suoi vicini di casa e compagni di giochi, Zdenko e Boža.
Con diversi espedienti si procurano i loro primi strumenti e iniziano a suonare ispirandosi al rock classico di
Beatles e
Rolling Stones. Più tardi iniziano anche ad ascoltare jazz.
Va ricordato che a differenza dei paesi del patto di Varsavia, in cui sussistevano forme di discredito e talvolta di censura verso il rock, nella Jugoslavia dell’autogestione titoista il rock era ampiamente diffuso e nel corso degli
anni Settanta venne persino incoraggiato dalle istituzioni jugoslave, che lo canalizzarono attraverso i centri giovanili ufficiali e la concessione di spazi di espressione in radio e televisione.
Sono due i motivi alla base di questo approccio. Il primo è di proiezione esterna: la Jugoslavia vuole mostrare all’Europa e al mondo la propria differenza specifica, presentarsi come terra di socialismo e libertà, l’Est dell’Ovest più che l’Ovest dell’Est. Il secondo motivo è che il governo di Belgrado, dopo la repressione seguita al movimento del ’68, vuole offrire delle concessioni ai giovani, evitare scontri e lacerazioni, e allo stesso tempo tenerli meglio sotto controllo. Quelli sono anche gli ultimi anni di relativo benessere economico prima della grande recessione degli
anni Ottanta, delle spirali di inflazione e disoccupazione da cui il paese non si riprenderà più.
Per il capodanno del 1980, Divljan viaggia all’estero, tra Parigi e Londra, dove segue molti concerti, e a Londra si appassiona alle band del movimento
new wave,
Stranglers in particolare. La new wave attecchisce di lì a breve anche a Belgrado, col nome di
novi talas. Il Centro Culturale Studentesco è il suo principale catalizzatore. In quel contesto si formano band che cambiano la storia della musica e della controcultura jugoslava: gli Električni Orgazam, gli Šarlo Akrobata (da cui deriveranno gli
Ekatarina Velika e i Disciplina Kičme) e, per l'appunto, gli Idoli.
Fondati nel marzo del 1980, quest'ultimi sono composti da Divljan (chitarra e voce), insieme all'inseparabile amico d’infanzia, il già citato Zdenko Kolar (basso), e a due compagni di liceo, Nebojša Krstić (tastiere e voce) e Srđan Šaper (percussioni e voce). Divljan si laurea in Geologia e gli viene offerto un posto da assistente universitario, ma rifiuta per dedicarsi interamente alla musica.
Nei primi anni Ottanta si apre una fase di grande effervescenza creativa, sociale e musicale in Jugoslavia, alimentata da un apparente paradosso. Da una parte nelle principali città (Zagabria, Belgrado, Sarajevo, Lubiana) si aprono spazi sempre più ampi per i giovani, che hanno a disposizione importanti risorse materiali: possono contare su sale concerti, studi di registrazione e case discografiche. Si organizzano festival e non si contano le riviste e le fanzine dedicate alla controcultura.
Dall’altra però permangono forme più o meno sottili di conformismo, di controllo, a volte di censura delle autorità su costumi e linguaggi, in un inedito contesto di profonda incertezza politica. La morte di Tito nel maggio 1980 lascia infatti un vuoto nella leadership e nella direzione da seguire per la transizione del paese. Questa situazione stimola ulteriormente i giovani e i gruppi rock a scagliarsi contro quelle barriere e a spingere sempre più in là la libertà di espressione.
Si inseriscono in questo clima i testi degli Idoli, di cui Divljan è principale autore. Nel primo loro singolo, uscito nel 1980, c’è una canzone dal titolo “Retko te vidjam sa djevojkama” (“Ti vedo raramente con le ragazze”). È una delle prime canzoni jugoslave che trattano apertamente il tema dell’omosessualità, ancora tabù in mezzo a paradigmi patriarcali e militaristi ben consolidati nella società. Nel secondo singolo, uscito all'inizio del 1981, appare "Maljčiki" ("Ragazzi", in russo): il testo è scritto in un serbo-croato molto semplificato e contiene diverse parole russe storpiate. Si tratta di una parodia del realismo socialista sovietico, che racconta di un operaio che si sveglia all’alba per andare in fabbrica. Anche il video ironizza sull’iconografia sovietica.
La canzone suscita la protesta dell’ambasciata sovietica, che a quanto pare ottiene una limitazione alla trasmissione del brano.
Anche se il socialismo dell’autogestione jugoslava è ben altra cosa rispetto al modello sovietico, ci si accorge che l’intento deliberato degli Idoli, così come di altre band, è quello di giocare con la censura, di mettere in discussione l’imposizione di determinati immaginari e ritualità, e anche di mettere in scena la propria condizione di "fuori posto", di esprimere la disillusione di quelle giovani generazioni cresciute nel benessere degli anni Settanta, ma che faticano a inserirsi in un mercato del lavoro ostaggio della recessione e in una società che appare immobile e gerontocratica. Va però chiarito che gli Idoli non manifestano un anticomunismo militante e sono favorevoli all’unità jugoslava, anzi si inseriscono in pieno in quella tendenza del rock locale che, senza necessariamente esplicitarlo, pratica e celebra l’unità del paese contro i vari nazionalismi.
Sempre nel 1981 esce l’Ep "VIS Idoli", con in copertina il "Nudo sdraiato" di Amedeo Modigliani: confermando il trend dei singoli precedenti, ottiene un successo clamoroso e vende 200mila copie.
La musica degli Idoli fino a questo momento è variegata e creativa, si muove fra lo slancio futuristico della new wave e la nostalgia per la musica del passato, spaziando dal punk pop corale allo ska, dalla ballata elettroacustica al rock'n'roll, con spunti sperimentali che fanno comunque attenzione a non compromettere l'orecchiabilità di riff e ritornelli.
Quando entra in studio per registrare il primo album, "Odbrana i poslednji dani", il gruppo non sembra tuttavia più disposto a fare concessioni.
La copertina ne rappresenta alla perfezione l'atteggiamento di sfida: la scritta del titolo è in un font cirillico antico, ispirato a quello dello slavo ecclesiastico del Vangelo di Miroslav, mentre l'immagine di sfondo è un particolare di un'icona di San Nicola situata nel Museo Nazionale di Belgrado.
Era una simbologia per l'epoca inusuale, in quanto associabile a istanze conservatrici serbo-ortodosse e anticomuniste. Tuttavia è bene far notare che il disco fu registrato presso l'etichetta discografica Jugoton, a Zagabria, e non presso la Pgp di Belgrado. Inoltre, i critici croati lo acclamarono subito e hanno continuato a farlo nel corso del tempo. Nel 2015, la rivista Rolling Stone Croazia lo ha votato come il miglior album mai pubblicato in Jugoslavia o in una delle nazioni successive alla dissoluzione: difficilmente lo avrebbero fatto se fosse stato un disco in odor di nazionalismo serbo.
Al netto di un'effettiva ricerca spirituale, da leggersi anche come processo di maturazione personale e di autoconsapevolezza, l'utilizzo di quei simboli va prima di tutto inteso come una forma di critica politico-sociale, che non aveva niente a che fare con i valori che vennero poi propugnati durante l'era di Milošević. Lo stesso Divljan ha tenuto a specificarlo in un'intervista per il giornale serbo
Nin, datata 2003: “Penso che la successiva esagerazione dei sentimenti nazionali e della religione sia stata una conseguenza delle posizioni dogmatiche dell’epoca precedente. Un giovane deve esprimere una certa dose di cinismo verso l’ipocrisia, e questo è uno dei miei intimi motivi per cui 'Odbrana i poslednji dani' aveva quel collegamento con la religione”.
"Odbrana i poslednji dani" viene pubblicato il 16 aprile 1982. Il titolo, in italiano "La difesa e gli ultimi giorni", è tratto dall'omonimo romanzo di Borislav Pekić, uscito nel 1977 e a tutt'oggi inedito in Italia. Lo scrittore era in quel momento in esilio a Londra, in quanto persona non grata al governo jugoslavo, e la scelta di citarne apertamente un'opera si allineava alla posizione antagonista della band.
Per l'occasione, alla formazione si aggiunge il batterista Kokan Popović, a cui non viene tuttavia concesso spazio nella creazione delle canzoni.
L'apertura è affidata a "Kenozoik", con l'aggressiva voce tenorile di Krstić su una cavalcata new wave con una strofa guidata da chitarre distorte e ritornello propulso da acuti di sintetizzatore.
È uno dei brani più regolari dell'album eppure già sorprende, sia per l'energia con cui è eseguito, sia per la quantità di dettagli che si possono notare: i numerosi cambi timbrici delle chitarre, l'eclettico uso dell'elettronica (nella strofa le tastiere imitano il tipico puntellare del pianoforte nel primo rock'n'roll, mentre altrove creano riff, disegnano melodie in sottofondo o emettono dissonanze), gli sporadici ma assordanti colpi di percussioni effettate e il tappeto di cori dal sapore liturgico, elemento che ricorrerà in diversi altri punti del disco.
Il testo narra la fine di un rapporto di coppia, con un afflato metafisico che potrebbe invero nascondere il timore dei giovani musicisti per il futuro della Jugoslavia:
Mi svegli alle cinque e mezza senza motivo,
non c'è nessuno in giro e non abbiamo nessun posto dove andare,
da quello che vedo mi manca il fiato,
ci resta da stare dove siamo adesso.
Mi sembra che qualcosa ti stia portando via,
voci mi dicono che sei tu,
accetto di guardarti per la prima volta,
cerco una collezione di scisti puntellati.
Dimmelo, il Cenozoico non fa per te.
[…] Ho tracciato le linee rosse,
gli occhi si sono abituati al buio del film,
lascio che tutto resti fermo ancora un istante,
pensavo che fosse bello essere una coppia.
Mi sembra di essere sempre stato stupido,
le voci mi dicono "questa è la fine",
voglio distendermi come fumo che gira,
è molto bello questo cerchio concentrico.
[…] Mi svegli alle cinque e mezza senza motivo,
non c'è nessuno in giro e non abbiamo nessun posto dove andare,
la mano gentile di San Sava indica la strada,
il sole azzurro di agosto, luce adolescente.
[…] Qui anche il mattino presto è infuocato,
tutto quel chiacchiericcio, è tutto qui.
L'approccio ai testi si è fatto sofisticato e intellettuale, tanto che ancora oggi c'è chi li ritiene ostici. In questo primo brano si susseguono deprimenti spaccati di vita domestica, mescolati con approccio postmoderno alle passioni personali dei membri della band e a espressioni in altre lingue. I riferimenti agli scisti (tipologia di roccia metamorfica) e all'era cenozoica provengono da Divljan, come già detto laureato in Geologia, mentre "questa è la fine" viene cantato in russo ("eto konets") e "luce adolescente" in latino ("pubes lux"). La religione fa capolino con l'apparizione di San Sava, il santo a cui è dedicata la più grande chiesa ortodossa di Belgrado e di tutta l'area balcanica.
La successiva "Poslednji dani" doveva in origine intitolarsi "Maršal" ("Maresciallo"), in ovvio riferimento a Tito, ma le autorità posero il veto e la band fu costretta a modificare il titolo e a tagliare un verso ("Il maresciallo è il mio Dio, il maresciallo sa da dove [vengo]").
Paradossalmente, l'effetto della censura rischiò di rendere il brano ancora più ostile agli ideali comunisti. Eliminato il riferimento al maresciallo e mantenuto quello a Dio, il testo assunse l'aspetto di un'ode religiosa, laddove era stato pensato come manifesto esistenzialista dal retrogusto satirico.
Le notti mi danno potere,
le notti sono il mio ordine,
sono solenni,
vestiti crocifissi.
Venite, venite,
vi aspetto, io,
nuovo.
Mi aspetta il mio Dio,
di notte sono il mio sosia,
mi aspetta il mio Dio.
Passerò sicuramente,
puro e fiero,
mi aspetterà il mio Dio,
mi aspetterà, lo so.
La ritmica è molto serrata, ma l'atmosfera risulta più distesa rispetto a "Kenozoik": le distorsioni sono scomparse, sostituite da trame elettroacustiche e pacate melodie elettroniche. Il microfono è in mano a Divljan, che preferisce uno stile più melodico, quasi cantautoriale.
"Moja si" è il brano più complesso in scaletta. Nei suoi 6 minuti e mezzo di durata mantiene un ritmo ossessivo propulso da batteria e bassi elettronici, con sibili intermittenti che l'attraversano da cima a fondo e chitarre che irrompono tramite stecche e riff cacofonici. La parte vocale più lineare è di Divljan, mentre quelle a metà fra toni operistici e canti ortodossi sono appannaggio di Šaper. Il testo è generalmente interpretato come un esplicito riferimento a transessualità e transgenere. La canzone rimane comunque su un livello deliberatamente ermetico e allusivo, con termini ambigui (il giacinto non è solo un fiore, ma anche il mitologico amante di Apollo) e cambi improvvisi di scenario e soggetto (lui, lei, io). La componente liturgica, oltre che nello stile vocale, è presente anche nelle strofe alla fine del pezzo, che citano elementi della messa ortodossa (nella traduzione di seguito riportata, da "Cristo risorge…" in poi). In fin dei conti, a livello simbolico il tema del cambio di genere non è distante da quello della resurrezione, in quanto supremo stadio di transizione e consapevolezza di sé.
Sta da solo sul suo cavallo,
in alto si alzano gli stendardi,
tutti si congedano da lui,
e lo guardano a lungo, a lungo.
Si rende sempre più conto
di essere rimasto
la propria unica e vera opportunità,
troppo a lungo ha pregato
per il vero mezzogiorno che ha desiderato.
L’angelo custode viene di notte
e con un’ala silenziosa lo solleva,
in piume nere risiede
e tutte le teste di uccello sono sue.
"Sei mia, sei mia",
e si guarda,
"sei mia, sei mia",
e si guarda mentre si veste,
lui vorrebbe essere quella ragazza,
lui vorrebbe che gli altri lo amassero,
provare a cambiare se stesso.
Ed è importante tutto ciò che accade
e le altre mani dicono molte cose,
la giovinezza è molto calda e ingannevole,
[come] promesse di rive lunatiche.
Non c’è ragione di pentirsi,
tutti erano come uova sode con lui,
nel suo segno tutti sono [stati] qualche volta "noi".
Che a lui splenda la fortezza celeste,
che tutte le musiche suonino là in alto,
che tutti cieli siano qui adesso.
I mandolini muoiono per la luna,
le madri e i padri si scambiano,
"sei mia, sei mia",
e la notte nel bosco,
"sei mia, sei mia",
e ha visto la notte nel bosco.
Lui si vede come si rapisce.
[…] Nel bagno lui accetta consigli,
nello specchio trova messaggi,
dalla doccia lo frustrano sanguinanti
febbri di fumi profumati.
Sul corpo non ci sono più segni,
la pelle sembra un giacinto,
ora è unta di olio di rose,
copre la testa di una chioma rossa.
Tutte le musiche… sei mia.
Cristo risorge dai morti,
sconfigge la morte con la morte
e ridona la vita a coloro che sono sepolti.
[…] Salvami, o dolce consolatore,
la pace sia con te, alleluja.
Scritta e cantata dal solo Šaper, "Senke su drugacije" è un ibrido fra folk e punk fortemente influenzato dalla tradizione balcanica, con tanto di sezione fiati e percussioni, mentre "Nemo" rientra in ambito new wave: il testo è cantato principalmente da Divljan, mentre Šaper si riserva qualche coro e una serie di grida astratte, che affiancano il ritmo frenetico, gli assoli di sintetizzatore e le dissonanze, creando uno dei momenti più caotici e al contempo vitali del disco.
Con i suoi ritmi programmati e le sonorità da tastiera giocattolo, "Rusija" è forse il brano più elettronico del lotto. Ballata appena sussurrata da Divljan, con una melodia fortemente radicata nel folk slavo, racconta un quadretto di vita di coppia in un grigio contesto di socialismo reale, infilandoci frammenti di vita dei vari membri della band (Krstić viveva in via Bakić, nel quartiere popolare di Voždovac, a Belgrado; Šaper leggeva lo scrittore russo Aleksandr Fadejev). Emerge la figura di una donna forte, come quella voluta dall'ideologia comunista.
La via Bakić si è già addormentata,
le ombre si nascondono,
le luci si addensano.
La nostra stanza silenziosa
si è appena svegliata,
la nostra stanza silenziosa scintillava.
Io studiavo ancora,
lei lavorava,
la notte le leggevo Aleksandr Fadeev.
Qualche volta si stupiva delle mie canzoni,
non permetteva che io mi preoccupassi.
A noi il nuovo anno non ha portato nulla,
come se si fosse confuso
o ci prendesse in giro.
Abbiamo cercato nel cielo
la luce di Vostok.
Aveva mani più forti di me.
Non permetteva che io la dominassi,
non lasciava che io la dominassi.
"Igrale se delije" è una sorta di rockabilly in veste futuristica, con batteria compressa, basso distorto in primo piano e rumori metallici, in cui la voce singhiozzante di Šaper intona un testo che parodizza un'omonima canzone popolare serba, scritta nel 1919 dal poeta e letterato Milorad Petrović.
Nella mia comunità locale stasera si balla
e tutti verranno
E quando si inizia a ballare mi avvicinerò a te?
e quando si inizia a ballare ti chiederò:
dimmi, vuoi ballare con me?
I ragazzi ballavano
nel mezzo del paese della Serbia,
passo a passo, un kolo dopo l’altro,
si sentiva fino a Istanbul.
Ma che faccio se cominciamo a ballare?
Šaper ha retrospettivamente affermato che la canzone ha collegato passato e futuro del paese: da una parte gli eventi organizzati dai ragazzi nel cuore del socialismo jugoslavo (la comunità locale, in serbo-croato mesna zajednica, era l’entità amministrativa più piccola, solitamente un piccolo quartiere, se in città, o un villaggio, se in campagna), dall'altra il kolo, ballo tradizionale locale, che simboleggia il nazionalismo disgregante di fine anni Ottanta.
"Odbrana" è una canzone d'amore dal testo più canonico, ma la musica è creativa come sempre, in un bizzarro ibrido fra synth-pop (la melodia dettata dalle tastiere) e folk rock (lo strumming della chitarra acustica che sospinge il ritmo). Šaper la intona con un piglio solenne, a cui fa da contraltare il coro di Bebi Dol, nota cantante pop serba. Il brano ospita anche il turnista e polistrumentista Goran Vejvoda, al sintetizzatore.
"Glavna ptica (Skrati svoj dugački jezik)" è un avant-rock marchiato a fuoco dalla chitarra di Divljan, che si prodiga in improvvisazioni atonali e urticanti. Canta Krstić, con un tono depresso a un passo dal
gothic rock.
A farle da contraltare un'intima ballata per piano e voce, "Hajde, sanjaj me, sanjaj", incisa da Divljan in solitaria, che sembra voler chiudere l'album con una carezza, a lenire il caos dei brani precedenti, pur senza farsi mancare qualche passaggio in cui la melodia sembra stonare e andare fuori tempo.
L'album ebbe un impatto molto inferiore alle precedenti uscite della band, ma va considerato che a causa della sua natura polemica non ottenne alcun tipo di promozione: non venne distribuito nessun video
[nota], l'appoggio radiofonico fu scarso e la tiratura iniziale di sole 50mila copie (per una seconda edizione si dovranno attendere gli
anni Novanta, quando verranno distribuite ulteriori 40mila copie in cd).
Tuttavia, chiunque lo ascoltò ne rimase colpito e fra gli addetti ai lavori il consenso fu quasi immediato, al di là di qualche articolo polemico che, come ricordato da Divljan, lo etichettò come "rock al profumo d'incenso".
Nel 1982 la rivista "Rock" di Belgrado lo nominò secondo miglior album dell'anno, dopo "Filigranski pločnici" dei croati Azra (a riprova di quanto quella scena fosse interconnessa e contraria ai separatismi). Già nel 1985 era tuttavia stato promosso dalla rivista "Džuboks" a miglior disco jugoslavo in assoluto, posizione confermata nel 1998 per il libro "Yu 100", dei giornalisti serbi Duško Antonić e Danilo Štrbac. Nel 2015 è infine giunta la già citata consacrazione presso Rolling Stone Croazia.
Nel 1984, a seguito di un litigio dopo un concerto a Lubiana, gli Idoli si sciolgono. Ancora oggi se ne discute e i contorni non sono mai stati chiariti del tutto. Quel che è certo è che i dissidi furono soprattutto tra Divljan da una parte e Šaper e Krstić dall’altra. Divljan manterrà invece sempre buone relazioni con Kolar.
Molto diversi i destini dei quattro. Kolar fonda la band
blues rock Zona B; Šaper dirige un'agenzia di comunicazione e diventa uno degli imprenditori più importanti in Serbia; Krstić si avvicina alla politica, prima come consigliere del presidente Boris Tadić (democratico-liberale), poi con Aleksandar Vučić (conservatore-nazionalista), assumendo posizioni sempre più conservatrici e provocatorie: in passato è stato bannato da Twitter e viene spesso segnalato per le sue dichiarazioni omofobe e aggressive verso le minoranze; Divljan, invece, si è sempre distinto per il suo approccio pacato e progressista. La sua carriera da solista, inaugurata nel 1988, conta nove dischi, due dei quali dal vivo. È purtroppo venuto a mancare nel marzo del 2015, all'età di 57 anni, a causa di un cancro dell'appendice.
[Nota] A questo articolo ne sono invero stati allegati tre, ma non si tratta di filmati promozionali d'epoca. I primi due appartengono a una serie di video dedicati dalla Croatia Records all'album, per celebrarne il quarantennale, e sono stati pubblicati nel 2022. Il terzo risale invece al 1982 e venne registrato per il programma televisivo "Petkom u 22" ("Di venerdì alle 22"): non è tuttavia andato in onda in altre occasioni e a oggi è ritenuto una rarità. Si ipotizza che sia stato riversato su Internet da qualcuno che ha avuto accesso agli archivi televisivi, ma la qualità lascia molto a desiderare: meriterebbe un restauro.
30/07/2023