Luna Sea

Eden

1993 (Mca)
visual kei, alternative-rock, dream-pop

Se gli anni Ottanta hanno visto nascita, diffusione e aumento di popolarità del movimento visual kei, si può ben dire che il decennio successivo corrisponda alla sua epoca imperiale. Non soltanto le band fondatrici del genere raggiungono strabilianti record di vendita (“Jealousy” degli X-Japan a superare il milione di copie; i Buck-Tick a vivere l'apice del loro successo lungo tutta la prima metà dei Novanta) ma agguerrite nuove formazioni giungono a spingere in avanti le proposte dei padri fondatori, differenziando e talvolta radicalizzando quanto ascoltato nel precedente decennio. Non necessariamente i più oltranzisti del lotto, sicuramente però tra i più lirici e maestosi dell'infornata novantiana di band, i Luna Sea da Kanagawa assurgono ben presto a uno dei gruppi simbolo dell'intero movimento, ponendosi in breve tempo come successivo riferimento per stuoli di artisti a seguire. Con il terzo album in carriera e assoluto spartiacque stilistico per il rock giapponese, “Eden” chiarisce nel migliore dei modi l'impressionante influenza esercitata dal quintetto.

È un paradiso concepito con cura, creato dopo anni di attenta riflessione e premura: formatisi nel 1986 dall'incrocio degli ancora liceali Jun Onose (che vedrà di tagliare corto e presentarsi col solo J) al basso e Kiyonobu Inoue (d'ora in avanti Inoran) alla chitarra ritmica, i due dovranno attendere tre anni per assoldare alla propria causa la voce (Ryuichi Kawamura), la lead-guitar (Yune Sugihara, meglio noto come Sugizo, abile anche col violino) e la batteria (Shinya Yamada) e vedere completato un assetto che rimarrà d'ora in avanti immutato.
Il quintetto così formatosi prende la strada gotica introdotta da Buck-Tick e D'Erlanger e si getta nella mischia presentandosi sotto il nome di Lunacy, entrando a gamba tesa in un dibattito visual sempre più febbricitante. Farà presto a modificare il proprio nome in Luna Sea ed esordire nel 1991 sotto la Extasy di Yoshiki degli X-Japan, con un album omonimo che ripesca la lezione di Bauhaus e Sisters Of Mercy ma la incunea in uno sporco meccanismo punk, corredato anche di lontane suggestioni folk e un'allure grand-guignolesca, perfettamente rappresentata dai vistosi look sfoggiati in copertina.
“Image” dell'anno successivo segna il passaggio a una major e con esso le risorse aumentano; la produzione rivela una pulizia nuova, il gioco delle parti si fa più nitido e preciso, nondimeno non vi è alcuna semplificazione del linguaggio, sempre attento a svelare la sua estrazione gotica in un gioco di intarsi hard-rock e un inedito colorito pop, ancora parzialmente sottaciuto ma già scalpitante. È qui che vengono gettati i semi del futuro giardino, capaci di germogliare con rapidità sorprendente.

Terzo album in tre anni consecutivi, “Eden” arriva nell'aprile del 1993 a consolidare una popolarità accresciuta in maniera spasmodica, cementando il nome dei Luna Sea tra le nuove leve più impattanti dell'intero scenario visual kei. Per l'occasione il quintetto vede bene di affidarsi anche alla pubblicazione di un singolo di lancio, rispettando pienamente i canoni della discografia nipponica mainstream, ma sorprendendo per un approccio che devia in misura sostanziale da quanto offerto con le prime due prove. Diradata la fosca coltre gotica dell'album omonimo (relegata il più delle volte a intrigante commento d'accompagnamento), con un'ariosità che non era mai appartenuta alla band, “Believe” rappresenta pienamente il nuovo corso approntato dalla band, la forma evoluta di un linguaggio che non rinuncia alla sua pregnanza rock, ma amplifica a dismisura il suo potenziale melodico. Pop, si potrebbe quasi azzardare, se non fosse che la mescola della canzone combina una pletora di elementi diversi tra loro, giocando sui flanger della chitarra di Inoran, sul batterismo punk di Shinya, sugli inserti di violino che addolciscono l'introduzione e accompagnano il brano verso il finale, donando all'insieme un tocco romantico. È un sogno metafisico, un desiderio di conoscenza, che i Luna Sea trasformano in un autentico inno, grazie anche al trasporto della voce di Ryuichi, quasi spezzata dalla commozione e dall'intensità: un'introduzione che vale oro.

Al crocevia tra stili e necessità espressive, tra gli inviti oscuri degli esordi e il tocco riempi-stadi delle prove successive, il paradiso inscenato dal quintetto si tiene su un equilibrio eccezionale, capace di conciliare esaltazione e riflessione, euforia melodica e respiro strumentale, poggiando sull'elettrica intesa dei cinque. In questo disegno, è l'inserimento di una specifica attitudine sonora a costituire la reale differenza, a mettere in risalto la specificità dei Luna Sea da chi li aveva preceduti. Sono d'altronde gli anni in cui lo scenario internazionale è popolato da band che portano alla ribalta di un pubblico espanso generi quali dream-pop e shoegaze: Pale Saints, Slowdive, Chapterhouse, i Cocteau Twins post-“Heaven Or Las Vegas”, un universo intero di formazioni diffonde con grande convincimento l'onirismo nel rock, proponendo un modo diverso di interpretare la chitarra.
Già da tempo appassionati del genere, Sugizo e Inoran avevano provato a inserire elementi dream-pop in “Image”, con la sua chiusura, “Wish”, a essere il momento in cui questi tentativi prendono realmente corpo. Solo un anno dopo, e quelle che a parole del chitarrista erano “prove di replica del feel psichedelico delle band shoegaze” trovano uno spazio d'elezione nell'economia di “Eden”, moltiplicano le direttrici sonore di un disco che trova la sua forza proprio in tale varietà. Basta sentire il modo in cui vibrano gli arpeggi di Inoran in “Rejuvenescence”, a stemperare gli assoli di Sugizo e le metalliche scansioni della batteria di Shinya, ancor prima di una “Recall” che appende al chiodo ogni forma di durezza per abbandonarsi al mare dei ricordi e dei sogni, facendo totalmente propria l'intera meccanica sonora del genere.

Romantico e disperato, sempre presente di fronte a se stesso e alle sue difficoltà, Ryuichi si fa tramite di questa dolcezza ammantata di veleno, questo torpore fatale. Tra tombe bianche e vestiti neri come l'amore (la bellezza letale di “Anubis”, inesorabile come il passo ferreo della batteria), memorie guastate, sperse nel ghiaccio (il desolante senso di distacco che anima “Lastly”, il momento più lirico e doloroso dell'intera collezione), incubi al chiaro di luna (gli ectoplasmi angelici che pullulano in “In My Dream (With Shiver)”, uno dei futuri classici della band) la voce di Kawamura si fa tramite di illusioni spezzate, amori ineluttabili, inquadra un paradiso terrestre ormai corrotto dalle passioni e dalle fantasie, sporco anche nell'immaginazione.
Tutto è una chimera, nel buio si agitano presenze minacciose. E così i groove sbilenchi di “Steal”, pernio di svariate linee melodiche pienamente autonome tra loro, mette in guardia contro le trappole delle emozioni, la loro pericolosa incoscienza, che nelle linee sbarazzine di basso di “Lamentable” trovano la conclusione perfetta: una totale, irriducibile solitudine. Come se fosse uscita da un carillon, col suo passo valzerato e il tragico commento di violino, “Providence” affronta il tema del paradiso perduto con accorte, velate pennellate poetiche (“se vi fosse una madre in quest'Eden del peccato, sgriderebbe suo figlio e verserebbe delle lacrime”), l'ultimo sussulto prima che “Stay” chiuda l'intero progetto con un'epica ventata di sentimento.

Solo numero 5 nella classifica settimanale di Oricon (ma capace col tempo di agguantare il disco di platino), l'album segna comunque il passaggio alla fase matura dei Luna Sea, d'ora in avanti una delle forze trainanti del rock made in Japan, capaci di arrivare in tempi record a riempire il leggendario Nippon Budokan di Tokyo. Sarà però l'impatto del disco a segnarne l'importanza nell'ambito della discografia della band ben più dei successivi bestseller. Il taglio dreamy degli arrangiamenti verrà immediatamente ripreso da band coeve desiderose di aprire il loro sound a un immaginario più vario e disteso (si noti la trasformazione impressionante dei Kuroyume da torbida formazione gotica a più inventivo assetto alt-rock), e così il largo impiego del violino aprirà la strada a realtà in ambito visual che faranno dell'assetto neoclassico il loro punto di forza, naturalmente consolidandolo in chiave sinfonica (i Malice Mizer i più conosciuti e stimati a livello mondiale). Non solo questo, ma anche band che con l'intero movimento visual hanno avuto una breve affinità (i Glay a inizio carriera) vedranno nell'ampiezza d'ambito individuata dai Luna Sea un elemento fondamentale per continuare a mantenere vitale la loro proposta. Per quanto traviato, l'eden del quintetto ha elargito frutti prelibati.

21/09/2025

Tracklist

  1. Jesus
  2. Believe
  3. Rejuvenescence
  4. Recall
  5. Anubis
  6. Lastly
  7. In My Dream (With Shiver)
  8. Steal
  9. Lamentable
  10. Providence
  11. Stay


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