Paco de Lucía

Fuente y caudal

1973 (Philips)
flamenco

Sono pochi gli interpreti di uno strumento provenienti da un universo differente, come il jazz o come in questo caso il flamenco, che possano vantare un'influenza di peso sulla musica pop e rock, nonché stuoli di fan tra gli esponenti più in vista di queste ultime. Con colleghi ammiratori del calibro di Eric Clapton, Mark Knopfler e Steve Howe, giusto per citare qualcuno dei nomi più banali, Paco de Lucía - nato Francisco Sánchez Gómez - è senza ombra di dubbio uno di questi. Al punto di vederlo spesso indicato come guitar hero, alla stregua dei nomi citati poc'anzi.
È il riconoscimento dovuto a una figura fondamentale per la storia della musica e della cultura andaluse, e pertanto spagnole. Non è eccessivo affermare che la diffusione mondiale del flamenco sia dovuta almeno in parte all'operato del chitarrista di Algeciras, il quale non soltanto ha facilitato la propagazione del genere oltre la frontiera iberica, ma al contempo ne ha ridefinito i confini e codificato la sua versione moderna.

Il flamenco di de Lucía combina i dettami delle scuole di Niño Ricardo e Sabicas (due dei più grandi interpreti della chitarra flamenca, nonché precursori del suo stile) alla passione per il jazz e per la musica caraibica, brasiliana, turca e araba. Si tratta dunque di un approccio devoto alla tradizione dei gitani dell'Andalusia, ma al contempo duttile e aperto a mutuare stilemi, strutture melodiche e tecniche estranei, per poi fornirsene per le sue esigenze espressive. Il tutto ovviamente è stato possibile grazie all'eccellente tecnica di de Lucia, sublimata in uno stile vigoroso, veloce, estremamente preciso sui tasti e nondimeno fortemente melodrammatico.
Oltre all'impegno nell'esportare il flamenco, è dunque grazie anche all'internazionalità intrinseca nel suo sound che de Lucía ha ottenuto un così vasto riscontro.
Solitamente indicato come suo capolavoro, "Fuente Y Caudal" è il disco che porta a compimento la sua rivoluzione. Quando de Lucía lo registra, non è ancora noto all'estero, ma nel circuito del flamenco è già una leggenda.

Il chitarrista inizia a farsi notare già a metà degli anni Sessanta, quando pubblica alcuni lavori per due chitarre insieme a Ricardo Modrego (i più significativi dei quali sono "Dos guitarras flamencas en stereo" del 1964 e "12 canciones de García Lorca para 2 guitarras en stereo" dell'anno successivo), nonché "Canciones andaluzas para 2 guitarras" del 1967, in compagnia del fratello Ramòn de Algeciras. La fama giunge però grazie alle numerose esibizioni in lungo e largo per la Spagna e in concomitanza con la pubblicazione di primi lavori solisti, come "La fabulosa guitarra de Paco de Lucía" del 1967 e "Fantasia flamenca" del 1969. In mezzo a questi ultimi due titoli, nel 1968, partecipa anche allo storico album "Flamenco Jazz", nel quale, accompagnando il sassofonista Pedro Iturralde, inizia a mescolare le carte della sua tecnica flamenca e battere nuovi, affascinanti sentieri.
Un altro tassello importante è rappresentato dalla collaborazione, fra il 1969 e il 1972, con Camarón de la Isla, che dà come frutto quattro dischi: i primi tre condividono la stessa intestazione, ossia "El Camarón de la Isla con la colaboración especial de Paco de Lucía", mentre il quarto si intitola "Canastera". Quella che è una delle collaborazioni più importanti nella storia del flamenco, del quale Camaron e de Lucía sono rispettivamente il cantante e il chitarrista più iconici, ha dato vita a interpretazioni che sono diventate dei canoni del genere. Anche se problemi relativi ai ricavati dei dischi e ai diritti d'autore separarono le strade del duo, dopo la morte di Camarón per un cancro ai polmoni, nel 1992, un de Lucía straziato dichiarò che "Camarón era una persona e un artista che non potrò mai dimenticare. Sarà dentro di me finché non morirò", a testimonianza di un matrimonio artistico profondo e significativo.

Come altri eventi portatori di grandi mutamenti, anche "Fuente y caudal" (trad. "Sorgente e flusso") arriva quasi per caso, nello specifico per onorare il contratto discografico con la Fonogram (affiliata spagnola della Philips), che prevedeva un nuovo disco di de Lucía entro il 1973. Entra così in studio avendo preparato soltanto un brano, ovvero la taranta (tipico palo flamenco) che gli dà il titolo. Le restanti sette composizioni sorsero invece spontaneamente, durante una serie di sessioni di registrazione organizzate come improvvisazioni.
Tuttavia, il chitarrista andaluso, in quel momento nel pieno della maturità tecnica e della curiosità verso elementi esterni al suo mondo, riuscì a trarne esercizi ricchi di melodie, calore e virtuosismo. Un momentum del genere non poteva che confluire, per utilizzare un verbo in linea con l'indole fluviale del suo titolo, in uno dei capolavori del flamenco.

La sintesi perfetta è rappresentata dal brano che apre il disco, nonché quello che consegnò a de Lucía fama e riconoscimento imperituri: "Entre dos aguas". Si tratta di una rumba dall'abbrivio ingannevolmente semplice, dove il succitato palo flamenco, imparentato per l'appunto alla rumba cubana, incorpora elementi esotici quali i bonghi, suonati dal percussionista peruviano Pepe Ébano (noto per aver introdotto elementi della musica criolla del proprio paese all'interno del flamenco). Una parte pizzicata e una di strumming vigoroso, che quasi ricorda i power chord della musica rock, si susseguono, incantano e rapiscono. Le mani di de Lucía, incalzate dai colpi sui bonghi progressivamente più insistenti, vanno sempre più veloci, in una sorta di crescendo che, nonostante l'impressionante sfoggio tecnico, non smarrisce il proprio romanticismo.
Fatta eccezione per il palo bulerias, presente due volte, ogni brano di "Fuente y caudal" appartiene a un canone flamenco differente. Così, dopo la rumba che apre il disco, il fandangos de Huelva "Aires Choqueros" riporta in Andalusia mediante il suo giro di chitarra ipnotico e i tradizionali battiti delle mani e delle nacchere.
Ugualmente appassionata, la successiva "Reflejo de luna" si libra malinconica e sinuosa: la chitarra, seguendo gli stilemi della granaína (palo tipico della città di Granada), si muove senza accompagnamento e risente fortemente di antiche influenze arabiche.
Chiude il primo lato del disco la struggente "Solea", nella quale i tempi dispari della bulerias, un palo in dodici cicli con accenti però sui tempi 3, 6, 8, 10 e 12, incontrano uno sviluppo ancora una volta avvincente. Non assente come nell’episodio precedente, qui la ritmica è comunque limitata a fugaci colpi sul dorso della chitarra.

Anche il secondo lato del disco è caratterizzato da una notevole gamma di umori, che passano da toni romantici e nostalgici ad altri più festosi e conviviali. Si ricomincia dunque con la taranta ricolma di spleen "Fuente Y Caudal", forse il brano più tecnicamente imprendibile dell'intero disco, dove gli arpeggi di de Lucía scrosciano ripidi sui tasti più bassi e stretti della chitarra, facendo vibrare corde che sembrano fatte di cristallo e innescando un senso di nostalgia inarrestabile. Le sue dita volano anche in "Cepa andalusa", ma questa volta a sostenerle troviamo il consueto apparato ritmico del flamenco, fatto di battimani, pestoni e nacchere. L'atmosfera si fa ancora più allegra nella successiva "Los pinares", un tango scatenato dove a dargli man forte è il fratello Ramon (già chitarrista ritmico in "Entre dos aguas").
Chiude la scaletta l'alegrias "Plaza de San Juan", un altro rigoroso saggio tecnico che riesce ad ammaliare con svolazzi di chitarra ricchi di pathos, nonché imprevedibili, quando cambiano d'improvviso direzione e ritmo.

L'album fu prodotto e supervisionato da José Torregrosa, manager della Fonogram. A insaputa di de Lucía, tuttavia, il collaboratore si cointestò tutti i brani presso la Sgae, la società spagnola per la tutela degli autori. Soltanto nel marzo del 2023 Lucía Sánchez Valera, figlia del chitarrista, è riuscita a vincere una lunga causa e a restituire al padre la proprietà esclusiva delle composizioni.
"Fuente y caudal" raggiunse i negozi nel novembre del 1973, con una tiratura di scarso rilievo, dato che il flamenco non aveva particolare attrattiva commerciale all'epoca. Tuttavia, nel 1974 il manager Jesús Quintero convinse la casa discografia a pubblicare "Entre dos aguas" come singolo e la canzone ottenne un'inaspettata diffusione radiofonica. L'album venne così ristampato in tutta fretta e il 2 dicembre di quell'anno raggiunse il numero 1 della classifica spagnola, dove rimase per 17 settimane consecutive: un record che nessun disco di flamenco strumentale aveva mai raggiunto e che resiste a tutt'oggi.

La carriera di de Lucía sarebbe proseguita trionfalmente, con collaborazioni di prestigio internazionale, continuando a dimostrare come la chitarra flamenca, oltre a rappresentare la tradizione gitana e andalusa, fosse ormai un linguaggio universale, capace di affrontare la musica classica (celebri le sue riletture del "Concierto de Aranjuez" di Joaquín Rodrigo e di "Iberia" di Isaac Albéniz, risalenti al 1991) e di ibridarsi con i linguaggi più disparati, dalla jazz fusion (si pensi ai tre dischi in trio con Al Di Meola e John McLaughlin) al folk di culture distanti (il cantante greco George Dalaras, nel 1987, gli cointesta l'album dal vivo "Zontanés ichografíseis"), fino al pop (suonerà più volte per il cantautore brasiliano Djavan e nel 1990 anche per Claudio Baglioni, nel brano "Domani mai", dall'album "Oltre").
Paco de Lucía è morto di infarto il 25 febbraio 2014, in Messico, mentre era in vacanza.

22/10/2023

Tracklist

  1. Entre dos aguas (Rumba)
  2. Aires choqueros (Fandangos de Huelva)
  3. Reflejo de luna (Granaína)
  4. Solera (Bulerías por Soleá)
  5. Fuente y caudal (Taranta)
  6. Cepa Andaluza (Bulería)
  7. Los Pinares (Tangos)
  8. Plaza de San Juan (Alegrías)


Nota: la seguente playlist di Spotify ricrea per quanto possibile la scaletta dell'album, ma le mancano due brani, che non sono presenti nella piattaforma.

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