Salif Keita

Soro

1987 (Syllart Productions)
mande music, afro-pop

Nemo propheta in patria. I pensieri di Salif Keita devono aver sfiorato per molto tempo il significato insito nella massima latina. Maledetto per la cultura mandingo in quanto albino, dunque portatore di sventura, e osteggiato dal padre che non voleva che suo figlio diventasse musicista visto il prestigio della famiglia, erede di una dinastia imperiale che regnò dal 1235 al 1610 in vari territori dell'Africa occidentale, il giovane Salif Keita a metà anni Settanta si ritrovò costretto a emigrare, nonostante un primo agognato successo, in Costa d'Avorio, data anche l'instabilità politica del Mali, e nel 1984 in Francia.
È proprio a Parigi che il trentacinquenne Salif colse finalmente il rifugio ideale per modellare il suo stile di musica mande, emancipandolo dalle più agresti emanazioni concepite con la sua prima band, gli Ambassadeur International, di cui facevano parte Kante Manfila, Cheick Tidiane Seck, Idrissa Soumaoro e Amadou Bagayoko: praticamente un supergruppo. In Francia Salif Keita scoprirà lentamente un nuovo modo di fare musica, seguendo quasi in parallelo la visione di un altro gigante, King Sunny Adé, che a inizio anni Ottanta aveva già sposato parte della strumentazione occidentale per il suo "Juju Music". L'idea, del resto, era tanto semplice quanto estremamente efficace: evolversi per riscoprirsi ma senza mai snaturarsi.

"Soro" nasce quindi dalla sensibilità di un profeta, appunto, che brama un ritorno in patria in grande stile. Un rientro a mo' di condottiero romano che avverrà di lì a poco, dato il successo delle cassette prodotte dalla Syllart Productions in Africa (il disco venne nel frattempo distribuito dalla Mango negli Stati Uniti e dalla Emi in Francia).
Dietro le quinte di "Soro" ci sono gli arrangiamenti di Jean-Philippe Rykiel e François Bréant, che si divideranno il bottino suonando rispettivamente in tre canzoni diverse. Sono due musicisti enormi, giusto per intenderci: Rykiel ha suonato per Jon Hassell, Youssou N'Dour e Cyrille Verdaux, mentre Bréant è stato per molti anni il tastierista del cantautore francese Bernard Lavilliers.

Pur essendo basato su strutture e melodie tipiche della musica della cultura mande (la famiglia etnico-linguistica di cui fanno parte i mandingo), "Soro" mostra arrangiamenti e tecnologia tipicamente occidentali. Ed è questo il primo grande miracolo di uno dei capolavori dell'afro-pop e della musica tutta.
"Soro" si rivelerà un disco apripista di una visione futura, che farà breccia anche in altre opere miliari, seppur meno internazionalizzate, come ad esempio "Kassikoun" di Abdoulaye Diabaté, così come in altre più spinte, su tutte il magnifico "Niamey Twice" di Moussa Poussy & Saadou Bori.
Composto da "sole" sei canzoni, nelle sue partiture si intrecciano conga, kora, fiati, tastiere, tamburi, cori, bassi, chitarre. Nel suo spirito ci sono invece il calore del vento settentrionale del Sahara e il fuoco meridionale della savana sudanese che stringono il Mali. E c'è la fluorescenza armonica delle tribù mandingo.

Si parte dall'ordinario che muta in straordinario. "Wamba" in chewa significa appunto comune, abituale: è l'incipit di un sentimento che esplica innanzitutto una rottura. Perché Keita compone lontanissimo da casa, e sente inesorabilmente l'urgenza di sventolare il raggiungimento di una precisa evoluzione, il suo essere spirito libero ma allo stesso tempo eternamente fedele alle mura di casa. "Io sono ciò che sono. Questo è il mio stile. Sii sincero con te stesso, e non solo per un po'": parole che echeggiano tra un coro di voci perlopiù femminili (Djene Doumbouya, Douglas Mbida, Georges Seba, Marilou, Nayanka Bell e Yves N'Djock) e un basso funky che emette energia solare ad ogni nota, mentre al centro spuntano stacchetti a percussioni raggianti e trombe epiche che fanno festa.
È solo l'inizio di un album maledettamente virtuoso. La title track verte infatti su soluzioni più articolate, adottate dentro uno zigzagare di suoni, poliritmi e melodie che sembrano usciti da un Eden piantato ai lati del fiume Niger. Le parole stavolta esprimono speranza, voglia di restare uniti e cancellare i confini tracciati a matita dagli occidentali. La seconda metà del brano poi accelera, mentre la terza si assesta (si fa per dire) tra cori che rimbalzano e trombe da orchestrina jazz che s'innalzano fiere, prima che tutto finisca di soppianto. Che genere è? Si direbbe, senza esagerare, afro-progressive.

Ancora cori a introdurre subito dopo "Souareba", ballatona enfatica, aulica ma non troppo. Keita invoca la figura mitica di Souareba, una donna che infonde coraggio e sensualità alla stessa maniera. È un manifesto sociale e politico di grande rilevanza, scritto non a caso a Parigi, città simbolo di ogni rivoluzione. Speciale è anche la successiva dedica al padre: "Sina. E' un momento in cui il musicista maliano danza al cospetto della propria memoria per manifestagli non solo il suo trionfo ma anche una ritrovata consapevolezza delle proprie virtù umane e artistiche. La vera nobiltà è la saggezza, canta Salif mentre balla tra i suoi conviviali. Il groove è irresistibile, così come i cambi di passo assecondati dall'immancabile coretto e dai fiati spumeggianti.
"Sina" è il brano più "elettrico" del lotto, e anticipa stranamente quello più bucolico: "Cono". Keita stavolta si trasforma in un uccello che vola sull'Africa per avvisare i suoi fratelli dell'ambiguità delle ricchezze terrene, dei pericoli che incombono sulla madre terra. Le altitudini di "Cono" sono anche il preludio al magnetismo dell'ultima meraviglia di "Soro", "Sanni Kagniba", una canzone in cui la kora è un angelo che emerge dal flusso avvolgente delle tastiere di Rykiel.

A "Soro" seguiranno un'affermazione sempre più crescente di Salif Keita in ambito internazionale, esibizioni illustri, come quella al concerto per la liberazione di Nelson Mandela nel 1988, e collaborazioni eccellenti negli anni con i vari Santana, Joe Zawinul, Wayne Shorter e Bill Summers. Ma anche improvvise incursioni nel cinema, come con il singolo "Tomorrow" scelto per "Alì", premi d'ogni tipo e, infine, nel novembre 2018, durante un concerto a Fana, in Mali, l'annuncio del ritiro dalle scene. Nel bel mezzo di una carriera lunghissima ci sono altri dischi epici, come "Ko-Yàn" e "Amen", prodotti rispettivamente nel 1989 e 1991, e "Folon:Past" del 1995. Tuttavia, nulla potrà mai eguagliare l'impeto passionale, la delicata complessità e la portata artistica di un capolavoro senza tempo come "Soro".

* Si ringrazia Federico Romagnoli per le preziose informazioni

15/10/2023

Tracklist

  1. Wamba
  2. Soro (Afriki)
  3. Souareba
  4. Sina (Soumbouva)
  5. Cono
  6. Sanni Kegniba

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