Ton Steine Scherben

Keine Macht für Niemand

1972 (David Volksmund Produktion)
deutschrock, blues rock, garage rock, heavy psych

I Ton Steine Scherben sono stati l'unica band che sia riuscita a trasferire l'idea della musica rock in tedesco
(Blixa Bargeld)
Nati a Berlino Ovest nel 1970, i Ton Steine Scherben sono stati con ogni probabilità la più importante band mai generata dal circuito culturale anarchico a livello mondiale, perlomeno fra quelle che sono rimaste pienamente aderenti ai propri principi politici. Anche altre formazioni della scena rock sperimentale tedesca provenivano dai circoli anarchici, ma per distribuire la propria musica accettarono contratti con case discografiche anche di grande prestigio (per quanto sia strano pensarlo, i Faust uscirono per la Polydor).
I Ton Steine Scherben non hanno mai accettato compromessi, pubblicando tutti i loro dischi in proprio (tramite la ragione sociale David Volksmund Produktion), a partire da un periodo in cui non era affatto usuale operare senza alcun appoggio distributivo, e guadagnando pochissimo da un'attività concertistica frenetica, in quanto tendevano a non farsi pagare, fedeli all'idea che la musica fosse un bene comune.
Nonostante fossero scettici sull'apparire in televisione e le radio avessero timore di trasmetterli, a causa di testi considerati particolarmente aggressivi, i loro album ottennero da subito una notevole diffusione, in particolare nelle università e nelle comuni.

Ralph Christian Möbius nasce a Berlino nel 1950, ma passa la giovinezza in altre zone della Germania: la famiglia si sposta infatti diverse volte per via del lavoro del padre, ingegnere presso la Siemens Ag. Si interessa all'arte sin da adolescente, studiando fotografia e teatro, ma la sua folgorazione è rappresentata dal rock di Beatles e Rolling Stones. Crescendo, la sua preferenza si sposta sempre più verso i secondi, di cui apprezza il suono ruvido e l'atteggiamento ribelle. In pochi anni, da autodidatta, Möbius impara a suonare chitarra e pianoforte.
La sua attività musicale inizia nel 1966 a Rodgau, in Assia, quando viene contattato dal coetaneo chitarrista Ralph Peter Steitz. Fra i due scatta un'immediata connessione artistica: dopo un breve periodo passato suonando cover di musica beat, iniziano a scrivere i propri brani. Nel 1967 i due si spostano a Berlino Ovest e lavorano per la compagnia teatrale Hoffmann's Comic Teater, dove conoscono Kai Sichtermann e Wolfgang Seidel: si compone così il nucleo fondante della band.

Nel 1970 i quattro danno ufficialmente vita ai Ton Steine Scherben (in italiano: argilla, pietre e detriti), con Möbius come cantante, tastierista e secondo chitarrista, Steitz alla chitarra, Sichterman al basso e Seidel alla batteria. Sulla scelta del nome esistono due versioni contrastanti: Möbius sostenne che si trattasse della citazione di uno scritto dell'archeologo Heinrich Schliemann e che apprezzasse la presenza della parola "pietre", in rimando ai Rolling Stones, mentre secondo Sichtermann e Seidel fu una manipolazione di Bau-Steine-Erden, nome di un sindacato dell'industria edile.
Il primo album, "Warum geht es mir so dreckig?" ("Perché mi va tutto così male?") viene pubblicato il 24 settembre 1971, con il primo lato registrato dal vivo durante un'occupazione e il secondo registrato nello studio del musicista sperimentale e tecnico del suono Klaus Freudigmann, dove era già stato registrato "Electronic Meditation", l'album di debutto dei Tangerine Dream.
Con un budget limitato a disposizione, la qualità del suono si rivela scadente, ma questo non impedisce loro un notevole impatto nella scena controculturale, a suon di slogan politici su un abrasivo sottofondo di garage rock e blues.

Per il secondo album la band stanzia più fondi, benché ciò significhi indebitarsi, e vola ad Amburgo, presso l'Alterstudio, proprietà del tecnico del suono Richard Borowski, dove viene registrato gran parte del materiale (il restante viene nuovamente realizzato a Berlino con l'aiuto di Freudigmann).
Al termine delle sessioni la band dispone di dodici canzoni, per oltre un'ora di musica: non si scarta niente e così il 17 novembre 1972 viene pubblicato "Keine Macht für Niemand", contenente due vinili al prezzo di uno (scelta in linea con la condotta di rendere la loro musica quanto più accessibile, che si risolverà però in un'ulteriore sofferenza per la cassa del progetto, nonostante il disco spopoli nel sottobosco).
La formazione che lo realizza non è la stessa del debutto: Seidel ha lasciato, essendo maggiormente interessato alla musica elettronica sperimentale (sarà a lungo un sodale di Conrad Schnitzler, ma rimarrà in amicizia con la band e tornerà a collaborare sporadicamente nel corso degli anni).
Intorno ai tre fondatori si raccolgono numerosi gregari, che contribuiscono ad ampliare lo spettro della proposta rispetto al precedente album. Alcuni provengono dal giro della militanza anarchica, del teatro sperimentale e degli occupanti di case vuote, a Berlino, altri sono semplici turnisti raccolti nei dintorni di Amburgo: fra i primi il flautista Jörg Schlotterer, fra i secondi Jochen Petersen, affermato turnista, polistrumentista e produttore, qui impegnato al sassofono, e il batterista Olaf Lietzau, su cui non si hanno ulteriori informazioni all'infuori della sua partecipazione all'unico album dei Panther ("Wir Wollen Alles", 1974), misconosciuta rock band proveniente da Ahrensburg.
A questi va aggiunto un ampio numero di cantanti di supporto, fra i quali anche Nikel Pallat, manager della band: Möbius ritenne importante che la propria voce fosse affiancata da un coro, in particolare durante la declamazione degli slogan, per rendere più evidente il messaggio di fratellanza e condivisione alla base del progetto.

L'album si apre con "Wir müssen hier raus!" ("Dobbiamo uscire di qui"), che mostra da subito un sorprendente miglioramento della qualità produttiva. I suoni sono limpidi e ben separati, senza però perdere in aggressività, come mostra l'introduzione, con la dura linea discendente del basso di Sichtermann, trame di piano elettrico per mano di Möbius e un assolo di chitarra col timbro tutto puntato sugli acuti. La struttura ingrana poi un muscolare midtempo blues rock, con la voce ruvida di Möbius che alterna parti cantate reminiscenti del garage rock angloamericano (o anche semplicemente dei Rolling Stones) e declamazioni a metà strada fra il comizio politico e il talking blues.
Il testo mette in scena tutta l'insoddisfazione del proletariato, la pressione della routine lavorativa, il problema delle unità abitative sovraffollate e la disillusione delle persone più anziane (che non vedendo via d'uscita, si sfogano con l'alcol), mentre nel finale la frustrazione del protagonista si trasforma in quella di un popolo intero ("siamo sessanta milioni"). Non c'è ricorso ad alcuna metafora.
Le persone non stanno nel letto da sole volentieri
e nel mio letto ho ancora posto per te,
però papà è a casa quasi tutti i giorni
e credo che ce l'abbia con te.
Per me il mondo non è più in ordine,
non lo è la mattina alle sette, né dopo il telegiornale.
Per me la parola per definire la domenica è "merda",
le parole per il lunedì: "Sii triste".
Dobbiamo uscire di qui, questo è un inferno,
viviamo in prigione,
siamo nati per essere liberi,
siamo due su milioni, ma non siamo soli,
e ce la faremo, ce la faremo.
Il mio vecchio pensa che il mondo non cambierà,
sa esattamente come stanno le cose,
pensa di poter dimenticare tutta la merda
quando la sera va al bar e si ubriaca,
dice: "Il bar è sempre il posto migliore".
Ha ragione, in casa non c'è spazio per tre,
ecco perché lavoro tutto il giorno,
potresti dire che sono così libero.
Dobbiamo uscire di qui, questo è un inferno. […]
Ce la faremo, cosa può fermarci? Non i soldi, non le armi,
se lo vogliamo, ce la faremo. […]
Siamo sessanta milioni, non siamo soli
Benché non si tratti di versi autobiografici, dato che Möbius ha smesso ben presto di vivere con i genitori, che non avevano peraltro difficoltà economiche, le frequentazioni sociali e politiche della band lo hanno messo ripetutamente in contatto con quel tipo di realtà, che è quindi riportata con accuratezza. La band ha dato più volte supporto in prima persona all'occupazione di case vuote proprio per alleviare le condizioni di chi viveva situazioni come quella descritta.
Dopo il lento "Feierabend", ancora marcatamente blues (benché a 3'26'' acceleri sulla spinta di un notevole riff proto-heavy metal), arriva la prima cavalcata della scaletta: "Die letzte Schlacht gewinnen wir" ("Vinciamo noi l'ultima battaglia"). Steitz mette di nuovo in luce le sue doti di chitarrista, con interventi solisti caratterizzati da pennate discendenti serrate e rapide serie di lick blues. Il brano è perfettamente bilanciato fra assalti strumentali e parti corali.
Non abbiamo bisogno di proprietari di case,
perché le case sono nostre,
non abbiamo bisogno di proprietari di industrie,
le industrie sono nostre,
fuori dai piedi, capitalisti,
vinciamo noi l'ultima battaglia.
Buttate via la pistola, agenti di polizia,
il fronte rosso e il fronte nero
sono qui,
non abbiamo bisogno di un uomo forte,
perché noi siamo forti abbastanza,
siamo noi a sapere cosa va fatto,
la nostra testa è grande abbastanza.
La nostra lotta significa pace
e combattiamo la tua guerra,
ogni battaglia che perdiamo
è la nostra prossima vittoria
Sono canzoni dai messaggi politici pesanti, ma la band non riduce mai la musica a mero sostegno degli stessi, lasciando l'elemento melodico in evidenza, apportando continue divagazioni, curando ogni dettaglio e mescolando le influenze più disparate, come dimostrano le successive "Menschenjäger" (strofa a mo' di marcetta, funk psichedelico saturo di effetti chitarristici durante il ritornello) e "Allein machen sie dich ein" (scalmanato folk rock guidato da pianoforte e chitarra acustica).
"Schritt für Schritt ins Paradies" ("Passo dopo passo verso il paradiso") sviluppa la sua forma canzone nel primo paio di minuti: una strofa soft rock per chitarra elettrica arpeggiata e sottofondo di percussioni, poi un ritornello con distorsioni hard rock messe in contrasto a cristallini accordi di pianoforte.
A 2'17'' tutto si ferma, per poi ripartire in una jam in crescendo caratterizzata da un contorto assolo di chitarra e da delicate armonie vocali, mixate in lontananza. A 4'00'' c'è poi l'illusione che la struttura torni nei ranghi, con una ripresa del ritornello, ma proprio lì la jam riprende a gonfiarsi, fino al finale catartico. La densità della stratificazione e l'intensità non sono inferiori a quelle di grandi classici del genere, come "Dear Mr. Fantasy" dei Traffic e "Ramble Tamble" dei Creedence Clearwater Revival.
I versi sono forse i più astratti del lotto, ma non per questo meno utopici:
Mi senti cantare, ma non sai chi sono,
non sai per chi canto, ma canto per te,
chi costruirà il nuovo mondo se non io e te?
E se vuoi capirmi adesso, allora capiscimi.
Mi sono svegliato e ho visto
da dove veniamo e dove stiamo andando
e la lunga strada che ci attende
porta passo dopo passo verso il paradiso.
Ho aspettato e pensato a lungo,
ho fatto tanti sogni e ora sono sveglio,
se la cerchiamo, troveremo la nuova terra,
niente ci separa dal paradiso, tranne le nostre paure
"Der Traum ist aus" rappresenta il momento più ambizioso, un'odissea di nove minuti affiliabile allo space rock dei coevi Hawkwind, con il suono di un Clavinet e i glissando del basso a fare da guida, mentre flauto e chitarra elettrica si alternano come strumenti solisti. La differenza è che qui non vengono raccontati viaggi intergalattici, ma si punta il dito contro una realtà tangibile: quella di una Repubblica Federale Tedesca che, dopo la guerra, non ha seriamente epurato i nazisti al di sotto dei livelli apicali e che, pur essendo rientrata nei canoni della democrazia liberale, rimane una società dai valori tendenzialmente reazionari, attraversata da numerosi casi di abusi di potere e violenza da parte delle forze dell'ordine.
Ho sognato che l'inverno era finito,
eri qui ed eravamo liberi
e il sole del mattino splendeva,
non c'era paura e non c’era niente da perdere,
c'era pace tra le persone e tra gli animali,
era il paradiso.
Il sogno è finito,
ma farò di tutto per farlo avverare.
Ho sognato che la guerra fosse finita […]
tutte le porte erano aperte, le prigioni erano vuote,
non c’erano più armi e non c’erano più guerre […]
Esiste un luogo sulla terra dove il sogno è realtà?
Non lo so davvero,
so solo una cosa e ne sono sicuro:
non in questo paese.
Il sogno è un sogno in questo momento,
ma non per molto, preparati
alla lotta per il paradiso,
non abbiamo nulla da perdere, solo la nostra paura.
È il nostro futuro, il nostro paese,
dammi il tuo amore, dammi la tua mano
"Rauch-Haus-Song" è il brano più noto dell'album, nonché l'inno della band e forse dell'intera controcultura tedesca. L'arrangiamento è stringato e insolito: Möbius sostituisce la linea di basso con un pianoforte martellante, Sichtermann fa le veci della chitarra elettrica strimpellando con vigore un banjo e Steitz siede alla batteria, disegnando un pattern invero elementare.
Su questa marcia folk sgangherata Möbius e il coro si prodigano in appassionati botta-e-risposta, raccontando l'occupazione del dormitorio del Bethanien (a partire dall'8 dicembre 1971), ospedale abbandonato situato a Marianneplatz, nel quartiere di Kreuzberg.
Alla fine, nonostante gli scontri con la polizia, gli occupanti riuscirono a farsi valere e la loro posizione venne ratificata dalle autorità locali. La vicenda è narrata dal punto di vista di Meier, immaginario proletario berlinese, padre di uno degli occupanti.
Mariannenplatz era blu, dai tanti poliziotti che c'erano
e Meier piangeva, probabilmente per i gas lacrimogeni
e chiese a qualcuno: "Dimmi, c'è una festa qui oggi?"
"Una cosa del genere", disse uno", "Bethanien è occupata".
"Era ora", rispose Meier, "è rimasta vuota troppo a lungo".
Come sarebbe bella la vita se non ci fosse più la polizia,
ma il capo della squadra ha gridato: "Evacuate Mariannenplatz,
in modo che i manganelli abbiano più spazio per colpire".
E gli occupanti gridarono: "Non ci potete buttare fuori di qui,
questa casa è nostra,
Schmidt & Press e Mosch fuori da Kreuzberg!".
Il senatore era furioso, la Cdu era indignata
perché i ragazzi si stavano riprendendo quello che gli apparteneva,
però per fare vedere al mondo quanto fossero generosi
dissero: "Sgombereremo [lo stabile] più tardi, per ora li lasciamo lì",
e quattro mesi dopo scrissero sul giornale di Springer
che nella Casa Georg von Rauch c'è un laboratorio di bombe
e la prova evidente erano dieci bottiglie di vino vuote
e dieci bottiglie vuote possono diventare rapidamente dieci molotov,
ma la gente di Casa Rauch continuava a gridare:
"Non ci potete buttare fuori di qui" […]
Lunedì scorso Meier ha incontrato in metro suo figlio,
che gli ha detto: "Vogliono sgomberare Casa Rauch, credo che dovrò tornare a vivere a casa".
"È pazzesco", risponde Meier, "saremmo di nuovo con uno in più
nel nostro bilocale di lusso, mentre Bethanien sarebbe vuota.
Dimmi una cosa, hanno la merda in testa lassù?
Loro vivono nelle case più belle e noi nell'ultimo buco.
Se davvero sgombereranno Casa Rauch, sarò lì,
a colpire la testa dei primi poliziotti che si presenteranno
e urlerò forte:
non ci potete buttare fuori di qui"
Per una più completa comprensione del testo, è utile un piccolo glossario: Schmidt & Press era una nota società immobiliare, Heinz Mosch il più potente imprenditore edile tedesco dell'epoca, il giornale di [Alex] Springer è il tabloid "Bild-Zeitung" (ovviamente d'impronta conservatrice), la Cdu il partito di centrodestra che aveva governato fino al 1969 e che in quel momento si trovava all'opposizione, Casa Georg von Rauch uno degli edifici occupati del Bethanien, ribattezzato così in onore dell'omonimo anarchico, figura cardine del movimento studentesco locale, ucciso in uno scontro a fuoco con le forze dell'ordine il 4 dicembre 1971.
La title track, pulsante garage rock con tanto di riff di sassofono, ha come titolo lo slogan più noto della band ("Nessun potere per nessuno"), che ancora oggi, di tanto in tanto, fa capolino sui muri delle città tedesche. È il testo più anarchico e antagonista dell'album:
Non sono libero, posso solo scegliere
quali ladri mi derubano e quali assassini mi comandano.
Sono morto esangue mille volte e mi hanno dimenticato,
sono morto affamato mille volte e loro erano sazi.
Nel sud, nell'est, nell'ovest, nel nord,
sono gli stessi ovunque, che ci stanno uccidendo.
In ogni città e in ogni paese,
scrivi lo slogan su ogni muro:
nessun potere a nessuno.
Abbattiamo i muri che ci separano,
unitevi, gente, fate amicizia.
Non sei migliore di chi ti è vicino,
nessuno ha il diritto di governare le persone.
Nel sud, nell'est, nel nord, nell'ovest,
sono gli stessi ovunque, che ci stanno ricattando.
In ogni città e in ogni paese,
questo è lo slogan della nostra lotta:
nessun potere per nessuno.
Vieni, fratello, mettiti in fila,
vieni sorella, non sei sola,
vieni, mamma, siamo con te,
vieni, amico, vogliamo la stessa cosa,
ad Augusta, a Monaco, Francoforte, Saarbrücken,
sono gli stessi ovunque, che ci stanno opprimendo.
In ogni città e in ogni paese,
chiudi la mano a pugno:
nessun potere per nessuno
La chiusura è affidata a "Komm schlaf bei mir", l'unica canzone d'amore, comunque attraversata dai concetti di libertà e uguaglianza tipici del resto dell'album. I versi si dispiegano su un tappeto di chitarra acustica, percussioni e basso, ma a dominare l'arrangiamento è un'ostinata melodia che sembra suonata con un glockenspiel (tuttavia lo strumento non è accreditato in nessuna delle numerose edizioni dell'album, per cui non è da escludersi che si tratti di un piano elettrico suonato sulle note più alte). L'atmosfera, quasi spettrale, sembra anticipare incidentalmente il neofolk anni Ottanta.
Il sole sta arrivando e tu sei qui,
posso sentirti, sono parte di te.
Lo sai adesso che sei libero?
Lo sai adesso chi sei?
Lo sai adesso cosa vuoi fare?
Non sono al di sotto di te, non sono al di sopra di te,
ti sono accanto,
vieni a dormire con me.
Ho tempo, perché ti amo,
ho la forza, perché ti amo.
Mi fortifichi,
mi dai energia,
mi rendi grande,
solo ora so con certezza per cosa sono nato
Nella traduzione in italiano l'aggettivo "libero" è stato reso al maschile, ma in tedesco è neutro e la canzone non è indirizzata a un sesso specifico. Tuttavia, Möbius era omosessuale e all'epoca era già dichiarato negli ambienti che frequentava, pur non parlandone nelle canzoni, né in dibattiti o interviste, anche a causa dell'ostilità all'argomento da parte della sinistra extraparlamentare.
Nei suoi diari risalenti ai primi anni Settanta (di cui verranno pubblicati alcuni passi a partire dal 2016, vent'anni dopo la sua morte, per iniziativa del fratello Gert), l'artista scrive: "La mia malattia non è che amo gli uomini. La paura, quella è la mia malattia, ed è mortale".
Sono parole molto simili ai versi di canzoni dell'album quali "Schritt für Schritt ins Paradies" e "Der Traum ist aus": è perciò lecito ritenere che, in quei brani, la paura come ostacolo alla realizzazione di se stessi simbolizzasse la necessità di Möbius di esprimere la propria sessualità, nonché di metabolizzarla, avendola vissuta in maniera conflittuale da adolescente, per via della propria fede religiosa (nello specifico, il luteranesimo). Iniziò a parlarne al grande pubblico solo nel 1986.

In seguito

Dopo la pubblicazione di "Keine Macht für Niemand", la band entra in pausa, sia per difficoltà economiche, sia per la pressione di cui la scena controculturale l'aveva caricata (cominciarono già allora ad arrivare le prime, incomprensibili accuse di essere diventati troppo commerciali e di compiacere il sistema). Riprenderà tuttavia l'attività pubblicando nel 1975 un altro doppio album, "Wenn die Nacht am tiefsten..." ("Quando la notte è più profonda…"), forse ancora più variegato. A partire da quel momento, Steitz assumerà il nome d'arte di R.P.S. Lanrue (ossia, le sue iniziali seguite dalla storpiatura dell'espressione francese "de la rue", "della strada").
Verso la fine del decennio anche Möbius adotterà un nome d'arte, quello con cui oggi è universalmente noto: Rio Reiser, in omaggio ad Anton Reiser, protagonista dell'omonimo romanzo di Karl Philipp Moritz. In effetti, un tedesco che dovesse leggere l'articolo, potrebbe trovare fuorviante il continuo riferimento al nome di nascita dell'artista, che è stato fin qui preferito per ragioni di aderenza storica: per l'appunto, all'epoca dell'album preso in analisi, lo pseudonimo non era in uso.

La band, ancora una volta piagata da problemi finanziari, si scioglierà nel 1985 e Reiser diventerà solista, con Lanrue che continuerà ad accompagnarlo come chitarrista.
Il suo primo album in proprio, "Rio I." (1986), uscirà per la Cbs, raggiungendo il numero 26 in classifica e vendendo circa 100mila copie, grazie a sonorità più radiofoniche e a un brano di culto come "König von Deutschland" ("Re di Germania").
I più intransigenti non gli perdoneranno la svolta e la decisione di aver firmato per una major, ma con i guadagni di quel progetto Reiser riuscirà a ripagare per intero i debiti dei Ton Steine Scherben, assicurandosi un po' di serenità per il futuro dopo quindici anni di antagonismo che, per quanto encomiabili eticamente, lo avevano portato al completo dissesto finanziario.
Dopo diversi altri album come solista, Reiser morirà il 20 agosto 1996, all'età di quarantasei anni, per un'emorragia esofagea causata dal prolungato alcolismo.
Da allora la sua figura ha assunto un'ulteriore aura di sacralità, arrivando a istituzionalizzarsi: oggi persino gli esponenti della Cdu ne celebrano la figura (uno sviluppo interessante, considerando che negli anni Settanta lo accusavano di simpatizzare per la Rote Armee Fraktion). A partire dal 2013, nella città di Unna, si tiene un festival in suo nome, mentre nel 2022 gli è stata intitolata una grande piazza nella zona centrale di Berlino.

Lanrue dal canto suo ha continuato con l'attività musicale, resuscitando i Ton Steine Scherben nel 2014, insieme a Sichtermann, per poi morire di cancro il 14 luglio 2024, all'età di settantaquattro anni, lasciando al bassista l'ultimo vessillo della storica band.

L'influenza

Non è tanto il numero di cover dei Ton Steine Scherben, o di Reiser come solista, a dimostrare il loro impatto sulla scena tedesca, per quanto la varietà degli artisti che vi ci sono cimentati sia perlomeno indicativa (dai colossi punk rock Die Toten Hosen a nomi storici della Neue deutsche welle come Joachim Witt, Nina Hagen e Fehlfarben, da artisti hip hop più o meno commerciali come Clueso, Jan Delay e Freundeskreis alla cantante schlager Marianne Rosenberg, da gruppi metal come Samsas Traum e Mantus al cantautore Klaus Lage, ma la lista potrebbe continuare a lungo): semmai, è il fatto che per loro sia stato coniato il termine deutschrock (rock tedesco), un primato che dividono soltanto col coevo cantautore Udo Lindenberg.
La loro musica ha segnato un prima e un dopo per la cultura tedesca: finalmente il rock trovava una propria identità anche nella lingua locale e, come si è visto, lo faceva con una proposta di spiccata originalità, sfuggente alle classificazioni. Non a caso, "Keine Macht für Niemand" viene spesso inserito nei database dedicati al rock progressivo, per via delle strutture mutagene di alcuni suoi brani e della diversità degli stili coperti, eppure è attraversato per quasi tutta la durata da sonorità proto-punk piuttosto crude. Un contrasto che i suoi solchi spiegano con armonia, senza alcuna contraddizione.

All'infuori della Germania

I gruppi kraut-rock, che all'infuori dalla Germania sono considerati l'espressione più rappresentativa della musica locale dell'epoca, ottennero in realtà un impatto piuttosto limitato all'interno dei confini nazionali, in particolare perché, quando non suonavano musica strumentale, cantavano in inglese, perorando così l'egemonia culturale angloamericana.
Per contro, la barriera linguistica ha impedito ai Ton Steine Scherben di guadagnare un culto internazionale, ma in Germania il loro seguito è nettamente superiore a quello di qualsiasi band krautrock.

Al riguardo è curioso notare l'atteggiamento rivolto loro dal critico inglese Simon Reynolds, proprio in virtù del fatto che all'infuori della Germania non abbiano trovato un seguito. Nel 2020, intervistato da Michele Piumini per Minimum Fax, Reynolds ha raccontato che la traduttrice per il mercato tedesco di un suo libro provò a fargli ascoltare quelli che riteneva i migliori artisti tedeschi, e che lui ebbe a constatare: "Disdegnava in particolare i gruppi tedeschi amati in Inghilterra e in America. […] I gruppi krautrock erano solo degli hippie noiosi, e secondo lei il gruppo tedesco più importante degli anni Settanta erano i Ton Steine Scherben, che io non avevo mai sentito nominare. A me la loro musica sembrava un hard rock piuttosto ortodosso, ma a quanto pare i testi sono potenti e originali".
Una band dalla proposta complessa, concettualmente e musicalmente, quale i Ton Steine Scherben, liquidata come hard rock piuttosto ortodosso, e nonostante fosse consapevole dell'importanza dei loro testi, non ha mostrato alcun interesse nell'informarsi al riguardo, facendo di fatto morire lì il suo contatto con la band. Avrebbe agito con altrettanta noncuranza se la band fosse stata inserita nel canone degli intoccabili dalla critica anglofona, come avvenuto per il krautrock?
Per aggiungere la beffa al danno, poche righe sotto, nella stessa intervista, dichiara: "A livello politico e personale non sopporto Ted Nugent, ma la sua 'Stranglehold' è un pezzo chitarristico eccezionale".
Ebbene, che cos'è "Stranglehold", se non il più ortodosso dei pezzi hard rock? Tuttavia, trattandosi di un classico del rock americano, non esita un attimo a scomodare un superlativo per descriverlo: avrebbe mostrato tanta riverenza se fosse stato un brano contenuto in "Keine Macht für Niemand" (che è per giunta uscito tre anni prima)?
Questo tipo di atteggiamento imperialista, sprezzante e snobistico verso tutto ciò che non provenga dalla cultura anglosassone, tenuto per giunta da coloro che dovrebbero rappresentare l'intellighenzia del proprio contesto, spiega meglio di qualsiasi trattato sociologico come mai la musica rock in lingue diverse dall'inglese, pur nell'epoca di Internet, trovi tanta difficoltà a guadagnare considerazione anche solo fra gli appassionati (senza tirare in ballo il grande pubblico, dove entrano in gioco dinamiche commerciali di tutt'altra fattura).

Le parole

In chiusura, un'osservazione sui testi. La mancanza di metafore, il ricorso continuo agli slogan e a un idealismo tanto manifesto, potrebbero portare a ritenere i versi di Reiser di livello elementare, tuttavia è bene ricordare che l'idea secondo la quale i cantautori debbano creare componimenti elaborati e densi di figure retoriche è legata al successo e all'influenza di alcune figure chiave nello sviluppo della musica popolare occidentale, come gli chansonnier francesi in Europa o gli artisti emersi dal Greenwich Village negli Stati Uniti: eppure, nella musica folk tradizionale, quella politicamente militante per antonomasia, i testi erano spesso scevri di quel tipo di sofisticazione e miravano dritti al punto con slogan, manifesti e ideali sbandierati senza mezzi termini.
Da questo punto di vista, Reiser non ha fatto che proseguire quel percorso, applicandolo alla musica rock con grande dignità. Un percorso iniziato proprio nei circoli anarchici verso la fine dell'Ottocento.

10/11/2024

Tracklist

  1. Wir müssen hier raus!
  2. Feierabend
  3. Die letzte Schlacht gewinnen wir
  4. Paul Panzers Blues
  5. Menschenjäger
  6. Allein machen sie dich ein
  7. Schritt für Schritt ins Paradies
  8. Der Traum ist aus
  9. Mensch Meier
  10. Rauch-Haus-Song
  11. Keine Macht für Niemand
  12. Komm schlaf bei mir


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