Intorno alla metà degli anni Ottanta, mentre il thrash-metal dominava i cuori dei metallari, con gli estremismi death e black in rampa di lancio e pronti a minacciare con una certa continuità le orecchie degli ascoltatori meno smaliziati, formazioni quali gli svizzeri Celtic Frost e i canadesi Voivod si presero la briga di spostare i confini del metal al di là di steccati che, per certi versi, potevano già dirsi classici. Se i primi lo portarono consapevolmente verso territori avanguardistici con album quali "To Mega Therion" (1985) e "Into The Pandemonium" (1987), i secondi ne trasfigurarono la tensione sperimentale in visioni distopiche, fantascientifiche, raggiungendo la vetta della loro arte musicale nei solchi di "Dimension Hatröss" (1988) e "Nothingface" (1989).
Nati nel 1982 a Jonquière, nella provincia del Québec, grazie alle passioni congiunte del batterista Michel "Away" Langevin e del chitarrista Denis "Piggy" D'Amour, i Voivod trovarono forma stabile nella forma del quartetto grazie all'arrivo del cantante Denis "Snake" Bélanger e del bassista Jean-Yves "Blacky" Thériault, inizialmente convinti che la loro strada fosse quella del nascente speed-metal. Tuttavia, col passare del tempo, si ritrovarono a rimestare nelle loro influenze, tirando fuori un mix di thrash-metal, new wave/post-punk, progressive-rock e psichedelia pinkfloydiana, ma soprattutto, grazie all'estro di Langevin, presero a edificare la loro musica all'ombra di Morgoth, una terra desolata, dominata dai ghiacci e sempre in guerra.
Si trattava di uno scenario perfetto per le scorrazzate del guerriero Voivod, la cui figura Langevin aveva delineato quando aveva circa dieci anni, dopo aver digerito già un buon numero di libri di fantascienza e di horror, tra cui "Dracula" di Bram Stoker e "Il signore degli anelli" di J. R. R. Tolkien. Nel corso degli anni, e dopo essere passato indenne attraverso un grave incidente automobilistico, quel prezioso frutto della sua fantasia sarebbe maturato all'ombra di riflessioni legate al rapporto tra biologia, tecnologia e meccanica, trovando ulteriore respiro anche nella paranoia legata alla Guerra Fredda, alimentata da pellicole quali "Mad Max - Interceptor" (1979), "Blade Runner" (1982) e "The Day After" (1983), che non poco peso avevano avuto nello sviluppo dell'estetica e della musica di formazioni quali i Manowar di Joey DeMaio e i Carnivore del giovane Peter Steele, giusto per limitarci a un paio di nomi.
In prima battuta, però, il mondo di Voivod era servito al giovane Langevin per dare un senso ai giorni più grigi della sua adolescenza: "Ebbi molti problemi psicologici, così mi servii di quel tipo di mondo per contrastare quello che stavo vivendo. (...) Imparai a controllare la mia natura schizofrenica e a esprimerla creativamente attraverso alcune nuove e originali idee. Quando unimmo le nostre forze, fummo quindi d'accordo che sarebbe stato cool avere l'antica leggenda di Voivod come nostro marchio di fabbrica, così come concordammo sul fatto di usare il suo mondo come concept, anche perché si trattava di qualcosa di diverso da quello che caratterizzava le band metal dell'epoca che o erano sataniste oppure avevano a che fare con sesso, droga e rock'n'roll. Con ogni nostro disco, continuammo a sviluppare il concept, mostrando la nostra progressione sia a livello di pensiero che di musica".
Fu all'altezza dell'esordio "War And Pain" (correva l'anno 1984) che Langevin (per tutti, ormai, solo Away, perché sembrava essere sempre altrove con la mente) potè concretamente sperimentare quella sua intuizione e non fu quindi un caso se quel primo Lp dei Voivod trattasse temi quali l'olocausto nucleare e tutto ciò che ne consegue a livello di impatto sulle vite umane, anche se la musica era ancora in balìa di uno speed-thrash molto caotico e rozzo, direi quasi lo-fi, per quanto sostenuto da una passione irrefrenabile.
Il disco fece un certo clamore tra le schiere dei metallari dell'epoca (quarantamila le copie vendute in un paio d'anni: fidatevi, all'epoca non erano poche per una band tutto sommato ancora sconosciuta!), nonostante, o forse proprio grazie alle accuse di nazismo/fascismo che alcuni addetti ai lavori, sobillati da quei testi pieni zeppi di guerre e armi, avevano a più riprese scagliato nei loro confronti.
Malgrado il relativo successo di pubblico, i Voivod non ne ricavarono comunque granché, perché l'accordo che avevano firmato con la Metal Blade era praticamente un contratto-capestro. Fu così che i giovani canadesi preferirono mollare gli ormeggi, andando a cercare riparo presso la Combat Records, con cui pubblicarono il più curato "Rrröööaaarrr" (1986), che presentava un sound più articolato e potente.
Nel frattempo, anche la mente di Langevin aveva nuovamente partorito, dando vita alla mostruosa figura di Korgull, nato dall'incrocio tra Voivod e un carrarmato.
Ma il disco che proietterà definitivamente il sound dei Voivod verso i territori di un progressive thrash-metal dai connotati "tecnici" sarà il successivo "Killing Technology", uscito nel 1987 e capace di portarsi dietro tutta una serie di riflessioni sul lato oscuro del progresso tecnologico e sulla cappa plumbea che la Guerra Fredda (nota a margine: il disco fu registrato in una Berlino ancora divisa dal Muro) aveva ormai già da tempo fatto calare sull'umanità tutta.
Da non sottovalutare, poi, l'impatto che la recente esplosione della centrale nucleare di Černobyl' ebbe sui nostri (26 aprile 1986): dentro le loro menti si agitavano, ancora una volta, ma con un'evidenza quasi insostenibile, scenari di distruzione, malattia, morte.
Resisi conto che l'esperienza di "Killing Technology" aveva tracciato coordinate piuttosto originali, i Voivod ne approfondirono temi e sonorità con le otto tracce di "Dimension Hatröss", un'opera il cui immaginario fu così delineato da Langevin nel corso di un'intervista concessa nel 1988 a Borivoj Krgin di "Metal Forces": "L'intera storia ruota attorno a un esperimento che ha luogo nel laboratorio di Voivod (la creatura, non la band!), durante il quale egli crea una dimensione completamente nuova - come una piccola galassia - e vi entra poi per osservare l'evoluzione dei suoi abitanti. La storia è composta da otto capitoli, in cui ogni canzone rappresenta una parte diversa, ed è più o meno un riflesso di ciò che accade nel nostro mondo e di ciò che pensiamo possa accadere alla nostra specie".
Oltre ad evocare i rischi che la scienza corre quando "gioca" a fare Dio (che, lo si sottolinei con forza, sono necessariamente legati alla sua propria essenza, soprattutto se si considera che ormai la scienza pensa a se stessa, grazie soprattutto alle strizzatine d'occhio del pensiero filosofico, come a un campo d'azione sostanzialmente privo di limiti), la "dimensione completamente nuova" generata dalla mente di Voivod è un microuniverso estremamente instabile, in cui oppressione, sofferenza e miseria finiscono per moltiplicare il proprio impatto sull'umanità. In tal senso, in questa "piccola galassia" Voivod è l'uomo-Dio della Tecnica alle prese con le implicazioni più nefaste delle sue creazioni.
La realizzazione del successore di "Killing Technology" si articolò in due fasi. In una prima, di pre-produzione, i quattro amici, chiusi nell'appartamento che a quel tempo condividevano in un quartiere di Montreal, lavorarono senza sosta ai nuovi brani, dormendo praticamente in mezzo a cavi, amplificatori e strumenti. L'atmosfera si rivelò particolarmente elettrica, dato che quello stesso appartamento si trovava sopra uno strip club frequentato da una banda di motociclisti non esattamente raccomandabili e con cui i nostri eroi finirono per scontrarsi, avendo avuto la non felice idea di praticare un foro nel pavimento e farvi passare un microfono per ascoltare quello che accadeva giusto sotto i loro piedi. Quando i biker si incazzarono, se la cavarono, ma solo perché Blacky ebbe l'intuizione di raccontare loro una storia strappalacrime sul suo criceto, che aveva pensato bene di perdersi tra le pieghe del muro...
Dopo essersi lasciato alle spalle il Canada, la band volò quindi verso Berlino Ovest, dove era attesa presso gli studi Music Lab per scavare finalmente i solchi di "Dimension Hatröss". Nell'allora capitale della Germania Ovest, i Voivod portarono la propria musica a un nuovo livello e questo fu possibile soprattutto grazie alla scoperta dell'elettronica e all'influenza che alcune band industrial (in primis, i teutonici Einstürzende Neubauten) ebbero su di loro.
"Di colpo, non eravamo più la band thrash di un tempo. Per noi, fu l'inizio di qualcosa di nuovo ed eccitante", ricorderà Langevin. Così nuovo che il batterista, chiamato a più riprese a definire il sound della sua creatura, ebbe non poche difficoltà a rintracciare un'etichetta adeguata, essendo la musica dei Voivod "il risultato di molte grandi influenze", che spaziavano dai primi amori classic-metal (Judas Priest, Motörhead e Venom, su tutti), all'hardcore rabbioso di G.B.H. e Discharge, passando per il post-punk più o meno eccentrico di Killing Joke e Chrome, le partiture progressive di King Crimson, Van Der Graaf Generator e Rush, fino alla fusion della Mahavishnu Orchestra di John McLaughlin.
In ogni caso, un'etichetta come "science-fiction music" per Langevin poteva andare più che bene, soprattutto se rapportata a quelle che, nel frattempo, alcuni critici si erano preoccupati di elaborare, cose come "nuclear metal", "industrial metal" e "space punk".
Registrato tra il 4 dicembre 1987 e il 4 gennaio 1988, prodotto da Harris Johns, già a supporto della band su "Killing Technology", e forte di alcune produzioni di rilievo in ambito metal (tra cui "Walls Of Jericho" degli Helloween e "Pleasure To Kill" dei Kreator), "Dimension Hatröss" (distribuito in patria dalla Maze Records e nel resto del mondo dalla Noise Records) è accompagnato da una delle copertine metal più iconiche degli anni Ottanta (ancora una volta opera dello stesso Langevin), raffigurante il solito Korgull, il cui corpo, però, si è ormai trasformato in un congegno meccanico stagliato su di uno sfondo che fa pensare a un sole estremamente radioattivo.
La truce immagine del primo Korgull (quello, per intenderci, apparso sulla copertina di "Rrröööaaarrr") era ormai solo un ricordo e ciò segnò anche uno stacco definitivo rispetto al passato musicale dei Voivod, che per molti - tra cui anche chi scrive - toccarono il proprio apice creativo proprio tra i solchi di "Dimension Hatröss", uno dei dischi più importanti per l'evoluzione del metal, in tutte le sue forme.
Ma c'è di più: "Dimension Hatröss" fu anche uno di quei dischi che contribuì a erodere la convinzione, estremamente diffusa, che il metal fosse un genere rozzo e "poco intelligente", mostrando, di contro, che anche tra le sue pieghe si annidava un grande serbatoio di creatività, capace, nel corso degli anni a venire, di far sentire la sua eco anche su artisti insospettabili (per dirne una, Thurston Moore dei Sonic Youth ha sempre speso belle parole per i Voivod e soprattutto per "Dimension Hatröss").
Ricordo che quando ascoltammo l'album per la prima volta fu un momento molto emozionante. Sapevamo che si trattava di qualcosa di diverso rispetto a quello che c'era all'epoca in giro, ma non avremmo mai pensato che avrebbe avuto un impatto così imponenteFin dal suo primo tassello, "Experiment", appare chiaro che la band è riuscita a fondere alla perfezione e con tocco originalissimo il retaggio thrash, il desiderio di essere "progressive" e l'immaginario fantascientifico che Langevin continuava instancabilmente a scolpire con la sua fervida fantasia. Quello dei Voivod è un suono gelidamente caotico, in cui il riffing innovativo di Piggy (lontano dal desiderio di mostrare le proprie abilità attraverso la velocità d'esecuzione e intenzionato invece a creare un'originalissima sinergia tra uso della dissonanza e strappi vorticosi), il tono distaccato, vagamente androide (anche se sempre lambito da una passione bruciante) di Snake e il batterismo preciso e martellante di Langevin erigono partiture per l'epoca assolutamente inedite.
(Denis "Piggy" D'Amour)
I think I've found the wayChe i Voivod stiano ormai veleggiando oltre le colonne d'Ercole del metal più sperimentale è confermato, anzi rafforzato, dalla successiva "Tribal Convictions", che si presenta con drumming tribale e sferzate chitarristiche, dunque consegnandosi a una visione sonora in cui l'entusiasmo "primitivista" dei loro primi lavori (si vedano, a tal proposito, le tracce di speed-metaldella seconda parte) entra in rotta di collisione con le più sofisticate soluzioni del nuovo corso (ancora nella seconda parte, da 3:55 in poi si ascoltano praticamente dei Rush teletrasportati in un lontanissimo futuro). Le "convinzioni tribali" sono quelle dei primi esseri viventi incontrati da Voivod nella "dimensione atroce" e che, sulla scorta di quelle stesse convinzioni, finiscono per considerare e adorare come un Dio quello che, ai loro occhi, è una strana, nonché inquietante presenza. Per quegli esseri, la fede in Voivod è in fin dei conti necessaria per giustificare la propria violenza e la propria sete di sangue.
I wanna move not stay
Time is fast and so unsafe
Conquest is what I can expect
Without frontiers there's no respect
The less you give the more I take
They're searching for something
Something to believe in...
Their convictions
Blood effusion
Is it a crime
Their convictions
Self-destruction
"Chaosmongers" potrebbe essere il vessillo sotto cui raccogliere tutta l'avventura dei Voivod, veri e propri "promotori del Caos" (questo il significato del titolo), essendo il suddetto uno dei brani più complessi e affascinanti di "Dimension Hatröss", con la sua follia egregiamente architettata intorno a una frenesia che tradisce i trascorsi punk-hardcore dei nostri e che, ancora una volta, viene piegata a farsi traiettoria lungo cui incanalare diversi cambi di tempo e di atmosfera, mentre chi ascolta s'immerge in un abisso di distruzione, lì dove i "chaosmongers", che sono anche dei terroristi dalle tendenze anarchiche ("Direct strategy/ Against authority"), sono pronti persino al sacrificio più alto e a "sopportare" eventuali errori ("The chaosmöngers/ Prefer to get away/ When people fall down/ But they killed the wrong ones") pur di consentire all'umanità di sperare in un futuro migliore.
L'eccitazione crossover di "Technocratic Manipulators", modulata attraverso un vorticoso gioco di agglutinazione e vibranti deflagrazioni, lascia il posto, poco prima del secondo minuto, a una fuga dalle tinte spaziali che potrebbe essere raccontata come l'improvvisa decisione degli Hawkwind di fare fagotto e mettersi in cammino verso il santuario di Geddy Lee, Alex Lifeson e Neil Peart. Con questo brano, i Voivod disegnano a tinte fosche una tipica società orwelliana (nella già citata intervista concessa a "Metal Forces", Langevin citava esplicitamente l'influenza di "1984"), in cui l'obbedienza e la volontà di "identificare sé stessi in una singola nazione o in un'unità di altro tipo, collocandola al di là del bene e del male e non riconoscendo altro dovere che la promozione dei suoi interessi" (per usare le parole di George Orwell) trasformano l'uomo in un vero e proprio automa, che vive in una condizione di ipnosi necessaria affinché l'autorità della "grande testa" ("big head") sia riconosciuta come suprema e inscalfibile.
That's not for me, too much for me
That's all for me
And they're going nowhere
To find better somewhere
But can't get out of there
Is it the same message
For the preconceived children ?
Let me know, before I go...
Death of their liberty
Feeds the supremacy
Under hypnosis I take a walk
Controlled people have to stop
Robotic voice starts to talk
Why we must be listening
I think we all had the same dreams
Se l'umanità è destinata ad affrontare problemi enormi, non resta altro che proporre macrosoluzioni. È quanto sostiene il testo di "Macrosolutions To Megaproblems", che idealmente si riallaccia a "Chaosmongers", poiché riporta l'attenzione su terroristi-rivoluzionari il cui compito è quello di combattere il "grande bugiardo" ("big liar"), che controlla le menti degli uomini, rendendoli ciechi. A quest'ultimi, i "chaosmongers" si rivolgono con un ritornello emblematico, la cui essenza sta nella convergenza di autenticità e capacità di rapportarsi alla realtà senza filtro alcuno: "You better shake up your mind/ Coz if you're just staying blind/ Integrity you won't find".
Musicalmente parlando, "Macrosolutions To Megaproblems", oltre a poter vantare uno dei chorus più efficaci del disco e a rimarcare la grande intesa strumentale dei quattro canadesi, impacchetta un'altra gemma da consegnare agli annali del thrash progressivo e arty, accompagnando il tutto con un implicito ammonimento: "La potenza è niente senza controllo".
Uno dei brani più gelidi e futuristici è "Brain Scan", aperto da una cadenza meccanica e dalle minacciose parole di Snake, qui in una delle sue versioni più sinistramente inumane/robotiche (più che chiara l'influenza del Syd Barrett di "Astronomy Domine", un brano che, non a caso, gli stessi Voivod riproporranno un anno dopo su "Nothingface"). "Brain Scan" presenta anche una delle immagini più inquietanti del disco, quella "scansione del cervello" che fa piazza pulita della personalità e della libertà di pensiero dell'uomo, rendendolo presente a se stesso solo come entità "fuori di sé" (è il grande dramma della nostra epoca, sempre più interessata all'esteriorità, alla proliferazione smisurata di immagini e, insomma, a quella che, con straordinaria intuizione, una settantina di anni fa Günther Anders definì "iconomania"). A quest'altezza, ricorda Langevin, Voivod ha in pratica incontrato "un organismo composto esclusivamente da materia cerebrale", insomma una delle forme più elevate dell'evoluzione umana.
Sometimes I feel
Their cold presence
Checking my mind, it's a brain scan
Sometimes my soul
Can't reach a sense
This head is mine, it's a brain scan
(...)
Locking me out of my skull
Something without physical
Disturbing my frequency
Terminate identity
Me, I, myself out of me
Out of me, out of me...
Annunciata da un'intro allarmante (riff indiavolato di chitarra e pelli palpitanti), "Psychic Vacuum" (per il quale venne anche realizzato un videoclip di discreto successo) assomiglia a un meccanismo intergalattico che ruota infinitamente su se stesso, pur articolandosi in diverse ramificazioni, simbolo degli sforzi che quelle forme più elevate dell'evoluzione umana, di cui si diceva a proposito di "Brain Scan", devono produrre nel tentativo di carpire l'anima di Voivod. Come ebbe a sottolineare lo stesso Langevin, "Psychic Vacuum" è anche un atto d'accusa nei confronti delle numerose sette religiose americane, "ai cui membri viene insegnato a dipendere dal loro padrone e a fare tutto ciò che gli viene detto, proprio come accade con una macchina".
Head is like a burning house
What can I do for my rescue
Inverse the strike to take the lead
Then following what I believe
Ain't got the same conception
Evocata da cupi scenari di stelle esplose, "Cosmic Drama" ha il compito di risolvere i diversi nodi tematici fin qui proposti da Langevin e mirabilmente sonorizzati insieme ai suoi sodali. Ormai capace di "vedere la piccola luce", nonché di "sapere cosa c'è nel cielo", Voivod realizza che il microuniverso che ha creato è "perso in un'ombra" e che il futuro non riserverà altro che oscurità, perché c'è "troppa oppressione", "nessuna soddisfazione" ed è impossibile rintracciare un grado di libertà capace di soddisfare appieno un'umanità evidentemente dominata da un'inquietudine ancora più radicale di quanto si possa pensare. "Il cielo è rosso e la natura/ cade in disgrazia. Lo spazio è terrore/ Non c'è posto per essere al sicuro": queste le parole pronunciate da Snake mentre la band procede austera nel macinare le sue taglienti, visionarie trame sonore.
In "Cosmic Drama" si fondono suggestioni provenienti dal racconto biblico del Diluvio Universale e un pessimismo che potrebbe leopardianamente dirsi "cosmico", ma vengono prepotentemente alla luce anche assonanze spirituali e filosofiche (che invero riguardano tutto "Dimension Hatröss") con il cyberpunk, quel sottogenere della fantascienza volto all'esplorazione di un futuro distopico dominato da una tecnologia molto avanzata e in cui la linea di demarcazione tra uomo e macchina è a dir poco sfocata (è interessante sottolineare come uno dei capisaldi del cyberpunk, e cioè "Neuromancer" di William Gibson, sia stato pubblicato nel 1984, lo stesso anno in cui i Voivod esordirono sulla lunga distanza).
The final process
Hard and so complex
Reverse the motion
Adding some tension
Setting the machine
Awaiting to leave
My bones and my soul
On my way back home
Have a look behind
Nothing more to find
A questo punto, per onor di cronaca, bisognerebbe dire due parole sulla cover di "Batman", che uscì come bonus track solo sulla versione cd di "Dimension Hatröss". Ma a cosa servirebbe? Con l'universo lirico-musicale del capolavoro dei Voivod, il celebre tema scritto - lo ricordiamo - da Neal Hefti per la fortunata serie televisiva che andò in onda, per la prima volta, negli Usa tra il 1966 e il 1968, non c'entra assolutamente nulla.
Prima di chiudere, è importante invece ribadire quanto i Voivod siano stati importanti per l'evoluzione del metal e quanto la loro musica continui ancora oggi a esercitare un'influenza enorme. Ogni volta che ascoltate dei metalhead fare una musica dissonante, schizofrenica, avventurosa, una musica che magari è anche immersa in scenari distopico-fantascientifici, ripetete a voi stessi i nomi di Michel "Away" Langevin, Denis "Snake" Bélanger, Jean-Yves "Blacky" Thériault e dell'indimenticato Denis "Piggy" D'Amour (1959-2005).
Nota
* Snake pronuncia il termine "Hatröss" (la cui lettera "ö" munita di dieresi è evidentemente un omaggio agli amati Motörhead) come fosse il francese "atroce", che sta a significare proprio "atroce" in italiano, ma anche "terribile", "orribile".
20/10/2024