Tra i più originali cantautori italiani, Paolo Conte si è da subito distinto con le prime canzoni scritte per altri (tra tutte, "Insieme a te non ci sto più" per Caterina Caselli, "Azzurro" per Adriano Celentano e "Onda su onda" per Bruno Lauzi), e quindi nei suoi primi tre album, specie in "Paolo Conte" (1975). Dopo queste prime esperienze, Conte letteralmente "si muove, restando", contrapponendo alle farse grottesche (ma impietose) su vita e vicissitudini autobiografiche un'apertura stilistica votata a cicli simbolici e immagini minute, occasioni musicali di contaminazione (jazz e danze sudamericane), invenzioni liriche disincantate. Con "Paolo Conte" (Cgd, 1984), questa svolta, insieme alla fusione delle due precedenti istanze creative - quella dei classici di "Paris Milonga" (1981) e quella globale di "Appunti di viaggio" (1982) - arriva a perfetto compimento. Fino a questo momento, "Paolo Conte" è il suo disco più sofferto. A parità di livello introspettivo (discretamente distante dal colto provincialismo tagliente del primo periodo), se "Paris Milonga" è dedicato alla dimensione della memoria e "Appunti di viaggio" è dedicato all'esperienza circostante, il "Paolo Conte" dell 1984 è dedicato alla sua anima.
Prima di tutto, si tratta di un album di canzoni semplicemente memorabili. Anzitutto viene "Gli impermeabili", terzo capitolo della saga del Mocambo (il più disilluso, dopo "Son qui con te sempre più solo" e "La ricostruzione del Mocambo", rispettivamente contenute nel primo e nel secondo album) prosecuzione e splendente vertice dello standard melodico contiano inaugurato da "Hemingway", una sorta di sereno funerale alla sconfitta delle aspirazioni intonato da synth e archi aerei, e sostenuto da una torrenziale cadenza soul.
Ci sono poi le ballate per piano, voce e sinuosi tocchi strumentali: "Come mi vuoi?", tanto tesissimo inno anti-romantico quanto torbida dedica amorosa, e "Chiunque", con il duo di piano e sax a spartirsi melanconie indefinite e progressioni di accordi taciturni, in un nobile silenzio di pause calcolate, e a chiudersi in uno sfogo scat quasi espressionista. "L'avance" è invece un sinistro tango reso instabile da trilli e modulazioni del piano, e dai borbottii a mo' di tromba del canto.
"Come-di", irresistibile swing alla Calloway con trucchi linguistico-vocali del Conte miglior performer, e "Macaco", un jive alticcio con spernacchiate di kazoo e tromba, ne sono agrodolce contraltare, mentre la stessa propulsione de "Gli impermeabili" lancia "Sparring Partner" verso un crescendo orchestrale grandemente passionale, incorniciato da sospiri orientali.
Seconda dimensione fondamentale dell'opera è il tema unificante dell'"uomo scimmia" (il ballerino jazz nelle comunità nere), dipanato secondo dotte citazioni-metafore di un personaggio ridotto a una sorta di sbando emotivo. Questo tema, peraltro già incontrato qua e là in altri momenti dell'album, ha il suo momento di maggior concentrazione nel mezzo dell'opera con "Sotto le stelle del jazz", forse il suo capolavoro definitivo. Tanto geniale mistura poetica di atmosfere intime, confidenziali, liriche ed enigmatiche, quanto conguaglio di accenti gospel, blues, honky tonk e brass band, questo brano epocale si trasfigura a raccolta di mottetti mitici (su testo originalissimo e commovente), d'immagini notturne - quasi create dalla notte stessa - a diario di sospiri blues e di nostalgie trasognate.
A corredo di queste due componenti, in pratica due pilastri del cantautorato italiano racchiusi in un solo album, la piece avveniristica di "Simpati - Simpatia", con il sequencer in bella vista a donare disegni di raccordo al piano onnipresente, e - gli antipodi - lo strumentale "The Music, All?", un sonetto dolente per piano e vibrafono, quasi una sua personale visione dei "Notturni" chopiniani, suonano quasi fuori contesto.
Meditativo e meditabondo, persino vittimista, tranquillamente ascrivibile alla stirpe dei grandi ripiegamenti esistenzialisti, da "Blue" per Joni Mitchell, a "Tonight's The Night" per Neil Young, a "Blue River" per Eric Andersen. E', forse, l'apoteosi del Conte cantante, pianista, poeta maudit tutto italiano, centrata e animata dai segni delle sofferenze nei sobborghi dell'animo, sofferenze minute e finanche subliminali modellate da brani felici nelle loro contaminazioni scevre. Laddove il jazz serve soprattutto a costruire impalcature emotive, l'autore addomestica strumenti e orchestrazioni secondo un umore trasfigurato a invettiva solenne, a preghiera introspettiva.
Accolto benevolmente dalla critica, il disco lancia Conte anche nello scenario internazionale. Seguito l'anno dopo da "Concerti" (Cgd, 1985), primo album live del bardo astigiano, con registrazioni dal vivo di queste prodezze in forma-canzone, a immortalare degnamente la sua età dell'oro, prelude a un'intensa attività live che lo vedrà impegnato in Italia come (e forse più) in Francia, quella stessa Francia che gli aveva infuso ispirazione agli inizi della sua carriera. E' anche uno snodo espressivo destinato a imporsi alle nuove generazioni come punto cardinale del nuovo cantautorato nostrano a venire. "Come mi vuoi?" avrebbe dovuto far parte di "Occulte persuasioni" di Patty Pravo (Cgd, 1984), ma ne rimase escluso; effettivamente, però, il cantautore collaborò alla lavorazione dell'album con lo pseudonimo di "Solingo".
Per evitare confusione con gli altri due omonimi, il sottotitolo è "Sparring Partner".
28/09/2008