La nascita di un predestinato
Nino Rota è stato un predestinato. Nato a Milano nel 1911, figlio dell'imprenditore Ercole Rota e della pianista Ernesta Rinaldi, nipote del compositore Giovanni Rinaldi, mostra fin dall’infanzia doti musicali straordinarie che possono svilupparsi al meglio in un ambiente familiare dove la musica è sempre presente ed è vissuta come fondamento della propria esistenza. Frequenta e studia nella casa di Arturo Toscanini a Milano e tiene piccoli concerti in famiglia fin dall’età di quattro anni, prima con la presenza di soli familiari, poi con ospiti sempre più illustri, sino a comporre, nel 1922 (cioè a undici anni) “L’infanzia di San Giovanni Battista”, la sua prima opera che viene addirittura eseguita lo stesso anno a Milano e l’anno dopo a Tourcoing, in Francia, con un’accoglienza estremamente positiva.
Rota viene accolto nell’ambiente accademico alla stregua di un novello Mozart ed è subito indirizzato verso i migliori insegnanti e i migliori conservatori, diplomandosi presso l'Accademia di Santa Cecilia nel 1929, per poi perfezionare i suoi studi dal 1930 al 1932 negli Stati Uniti al Curtis Institute Of Music.
Il primo approccio con la musica da cinema
Tutto fa presupporre un futuro roseo che in effetti giunge ben presto grazie al legame fortissimo che la sua carriera instaura col cinema, sin dal 1933 con la musica per il film “Treno popolare” di Raffaello Matarazzo. L'incontro con Federico Fellini, avvenuto nel 1952, è uno di quelli che stravolgono una vita (in questi caso due) e dà l'avvio a una collaborazione, si potrebbe dire a una affinità elettiva (come quella, e forse persino di più, tra Ennio Morricone e Sergio Leone) che prosegue per tutta la carriera del regista riminese con capolavori come le soundtrack per “Lo sceicco bianco”, "La dolce vita", "8½", "Amarcord", "Roma" e "Il Casanova di Federico Fellini".
Per i film del regista romagnolo, Rota costruisce un universo sonoro unico, in cui melodie da circo, valzer sghembi e fanfare malinconiche diventano cifra poetica, commento e controcanto a una narrazione onirica e surreale.
Quando nel 1971 il giovane e ancora sconosciuto regista, Francis Ford Coppola, allora trentaduenne, lo contatta per il suo nuovo film, Nino Rota è ormai una celebrità e ha quasi il doppio dei suoi anni. Il compositore milanese inizialmente non sembra interessato, anzi si lamenta con alcuni amici dell’insistenza di certi produttori americani e delle loro continue richieste. Quando i suoi amici gli chiedono chi fosse, il regista lui non ricorda nemmeno il nome e quando gli chiedono almeno il titolo del film, non è sicuro se fosse “Il padre” o “Il padrone”. In sintesi, non sa nulla di quel progetto e non prende ancora minimamente sul serio la richiesta. In questa discussione, si inserisce una signora che intuisce di cosa si stesse parlando e suggerisce che si tratti proprio de “Il padrino”, aggiungendo che il protagonista sarebbe stato addirittura Marlon Brando e consigliando dunque a Rota di non tergiversare troppo...
Il signor Coppola è un regista di grande finezza e un uomo molto coscienzioso
(Nino Rota)
Il rapporto con Coppola e la genesi di un capolavoro
Nino Rota segue così il prezioso consiglio, seppur fissando dei paletti molto chiari alla casa cinematografica (la Paramount) che sembrano fatti apposta per ottenere un rifiuto. Tra questi il peggiore è che lui non dovrà mai recarsi negli Stati Uniti, vista la sua nota avversione verso gli aerei. Per qualunque motivo devono essere gli americani a recarsi in Italia. Francis Ford Coppola non si scoraggia: vuole Nino Rota a ogni costo, soprattutto perché crede fermamente in questo film che - a suo avviso - avrebbe rappresentato la svolta della sua carriera.
L'incontro fatidico tra Rota e Coppola avviene a Roma, nell'agosto del 1971: tra i due scatta subito un feeling completo. Coppola, che conosce praticamente l'intera opera di Rota, gli rivolge richieste molto chiare: desidera una musica che richiami fortemente l’origine dei protagonisti, che ricordi il Sud dell'Italia, in particolare la Sicilia, che abbia melodie mediterranee e che non segua necessariamente la dinamica del film, che si rapporti con la psicologia (tragica) dei personaggi più che con le loro azioni.
Rota è soddisfatto delle richieste, accetta la sfida e dopo vari tentativi si ricorda di aver già scritto anni prima qualcosa di adatto. Nel 1958 aveva infatti composto le musiche del film “Fortunella”, diretto da Eduardo De Filippo, una pellicola dimenticata, che non aveva ottenuto il successo sperato. C’era però una melodia con un ritmo di valzer che, se rallentata e arricchita di pathos, avrebbe potuto creare l'atmosfera richiesta da Coppola.
Un ritmo da valzer, solitamente utilizzato per ballare, immaginato per un film tragico sulla mafia italo-americana. Qualcosa di inaudito a pensarci bene, ma la scelta di Rota si rivela straordinaria. L’orchestrina di archi di “Fortunella” viene sostituita dalla tromba, accompagnata da un mandolino, e il tempo viene decisamente rallentato. L'intro riprende la melodia di apertura della "Prima Sinfonia" di Jean Sibelius. Da questa unione nasce una delle melodie più celebri e struggenti della storia del cinema, “Main Title (The Godfather Waltz)”, che accoglie ogni desiderio del regista: dall’evocatività tragica dei personaggi che sembrano tutti i protagonisti di una tragedia greca, al richiamo alla loro provenienza geografica.
Ma questa melodia se variata in velocità o suonata con strumenti differenti può andar bene anche per scenari molti diversi, nel caso si accentui l'aspetto sinfonico (“The Godfather Finale”), il legame con la tradizione siciliana (“Sicilian Pastorale”) o si sottolinei maggiormente il ritmo di valzer fino al limite del ballabile con batteria, mandolino e oboe (“The Godfather Waltz”).
Le stesse note che all'inizio creano una introduzione da tragedia imminente possono andare bene per le sequenze ambientate in Sicilia, dal mandolino di “Apollonia” al magnifico mix orchestrale di archi e fiati di “Love Theme”, poi reinterpretato in “Speak Softly Love” da Andy Williams.
Una seconda melodia emerge in “The Pickup”, poi ripresa nel finale di “The New Godfather”, composizione bizzarra che in appena due minuti unisce piano jazz, archi sinfonici dalle tonalità molto basse e un finale cinematico hitchcockiano. “The Halls Of Fear” utilizza la trama melodica principale prima di introdurre dei battiti di percussioni ribattuti col pianoforte ad accentuare la tensione.
L'apoteosi si raggiunge ovviamente nel gran finale di “The Godfather Finale”, in cui tutto si ritrova in un sintesi perfetta. Prima l'orchestra, poi la melodia di mandolino, l’ingresso di una chitarra acustica, un coro, un oboe, una melodica e di nuovo la melodia ripresa da un violino solista, prima dell’ingresso di tutta l’orchestra e il ritorno a mandolina e melodica. Uno dei capolavori dell'opera della coppia Rota/Coppola, grazie al montaggio cinematografico, è la scena del battesimo (“The Baptism”) dove l’organo riesce a creare un mix duplice di musica religiosa e violenta allo stesso tempo, facendo da colonna sonora alle immagini della liturgia del nipote del nuovo padrino, costantemente interrotte da una lunga serie di omicidi. Questa duplicità di un stesso tema musicale esemplifica da una parte l’ambiguità della vita delle famiglie mafiose, dall’altra il destino inevitabile cui andrà incontro il nipote. Le stesse note di organo fanno da collante a un tema che si presta a colonna sonora religiosa per il battesimo e musica d'azione per accompagnare gli omicidi, come se Bach incontrasse Morricone per poco più di un minuto. Un’apoteosi per Nino Rota.
Nonostante ciò, la produzione nutre dei dubbi sulla colonna sonora. La Paramount è convinta che la musica sia troppo triste e sentimentale per un film di gangster e pretende un cambio. Coppola oppone un netto rifiuto e chiede che Rota non venga informato di queste richieste, temendo che il compositore possa accettare di fare delle modifiche. In un teso incontro con la produzione, il regista minaccia di abbandonare il progetto. La Paramount tenta addirittura un cambio di regia in corsa, ma Marlon Brando minaccia, a sua volta, di dimettersi in quella eventualità. Alla fine, viene raggiunto un accordo e il risultato è l’album che oggi conosciamo, inciso dall’orchestra Hollywood Studio Symphony sotto la guida del maestro Carlo Savina (già scelto diverse volte da Rota per dirigere le proprie musiche).
Il premio Oscar perduto
Nel 1973 sembra quasi certa la vittoria dell'Oscar come miglior colonna sonora per Nino Rota. Francis Ford Coppola viene premiato con l'Oscar come Miglior film, per una pellicola destinata a rimanere tra i capolavori assoluti della storia del cinema, Marlon Brando come Miglior attore protagonista, Mario Puzo (l’autore del romanzo), insieme a Coppola, per la Miglior sceneggiatura non originale. Ma per quanto riguarda la colonna sonora, poco prima del previsto trionfo succede un incredibile imprevisto. Poco prima della premiazione, giunge infatti un telegramma anonimo firmato dai "Compositori di musica da film italiani” che segnala come la musica de “Il padrino” sia in realtà una rivisitazione della colonna sonora del film “Fortunella” del 1958. Nonostante le due colonne siano in effetti completamente diverse, secondo il regolamento la musica di Nino Rota deve essere esclusa dal premio e il suo posto viene preso da John Addison, autore della soundtrack del film “Gli insospettabili”. Incredibilmente, a vincere l'Oscar per la migliore colonna sonora sarà Charlie Chaplin per il film "Luci della ribalta" del 1952. Una decisione perlomeno discutibile, che la commissione giustificherà ricordando che il film era stato boicottato negli Stati Uniti per le presunte idee politiche filo-comuniste di Chaplin e non era quindi mai stato distribuito ufficialmente.
Nino Rota otterrà la sua rivincita nel 1975, quando vincerà l'Oscar per “Il padrino - Parte II”, secondo capitolo della saga di Coppola.
Bibliografia
25/05/2025