Ballboy

Ballboy

Sognando di volare nello spazio

Tra i tanti gioielli nascosti dell'indie-pop scozzese ci sono anche loro:  i Ballboy di Gordon McIntyre, con le loro radici folk, increspature psichedeliche à-la Galaxie 500, atmosfere acustiche e svagate, e liriche sognanti ma anche sorprendentemente ironiche. Andiamo a svelare uno dei "best kept secrets" di una scena musicale troppo spesso sottovalutata

di Enrico Iannaccone

Ripercorrere la storia dell'indie-pop scozzese significa affondare le mani in uno scrigno stracolmo di preziosi gioielli nascosti, talvolta dimenticati, spesso semplicemente ignorati. Uno dei "best kept secrets" di una scena musicale troppo spesso sottovalutata e poco considerata, sono sicuramente i Ballboy di Gordon McIntyre, fino ad oggi autori di cinque sorprendenti e deliziosi album, sicuramente non inferiori alle opere di gruppi analoghi ma decisamente molto più conosciuti.

I Ballboy nascono a Edimburgo, alla fine degli anni 90, dall'incontro tra il cantante e chitarrista Gordon McIntyre, il bassista Nick Reynolds, la tastierista Katie Griffiths e il batterista Gary Morgan. Le loro origini sono quanto di più lontano si possa immaginare rispetto agli eccessi e alle trasgressioni tipiche dell'immaginario rock: le cronache, infatti, raccontano che McIntyre e Griffiths sono dei semplici maestri di scuola, Reynolds è un infermiere, Morgan un tecnico del suono. In effetti c'è ben poco di divistico e trasgressivo anche nella musica proposta dalla neonata band: un indie-pop ben radicato nella tradizione C86/Sarah Records, con qualche omaggio al folk britannico, qualche increspatura psichedelica che sembra richiamare i Galaxie 500 di Dean Wareham e, attraverso questi, il minimalismo sonoro dei Velvet Underground, atmosfere prevalentemente acustiche e svagate, testi sognanti ma anche sorprendentemente ironici (e soprattutto autoironici), una vena tipicamente scozzese di amarezza e malinconia ma mai di disperazione e nichilismo, sempre e comunque protesa alla ricerca di un raggio di sole e di speranza.

Il gruppo viene scritturato dalla SL Records per la quale si fa notare incidendo una serie di quattro Ep. I primi tre, con l'aggiunta di alcuni inediti, vengono raccolti nell'album Club Anthems, che esce nel 2001 e che, sebbene composto da materiale prevalentemente non originale, costituisce la prima uscita sulla lunga distanza della giovane band scozzese. L'album, contraddistinto da una bella foto di copertina e da un booklet molto scarno ma corredato da note esilaranti (come i ringraziamenti a tutti coloro che hanno assistito alle esibizioni della band, fatta eccezione per quelli ai quali il concerto ha fatto schifo), attualmente non è di semplice reperibilità, ma rappresenta una ghiottissima occasione per conoscere i brani con i quali il gruppo di Gordon McIntyre ha mosso i primi passi.
La raccolta si apre con il delizioso indie-pop minimalista di "Donald In The Bushes With A Bag Of Glue", brano dal testo ironico e beffardo ("The last time I saw you, you were lying in a bush with a bag of glue/ Now you're baking cakes for middle-aged ladies, and you're married to/ A good-looking girl who gets on well, with your family/ You've made your mother proud at last and I guess that's good enough for me"). La seconda traccia intitolata "A Day In Space" è anche uno dei capolavori dell'album, una commovente, intima, ma anche spassosa riflessione sul desiderio di volare nello spazio, anche solo per un'ora, anche solo per mezz'ora ma, come specifica il testo, meglio ancora per un giorno intero! Il brano è quasi psichedelico nel suo incedere suadente e lo spoken word di McIntyre è perfetto per creare l'atmosfera di sognante sospensione descritta dalla canzone.
Il tema del desiderio di volare nel cielo ("And I have wings with which to traverse oceans/ and I'll take you with me/ upon my back") ritorna nella terza traccia, la lenta e malinconica "Dumper Truck Racing", con chitarra acustica e pochissimo altro ad accompagnare la voce commossa di Gordon McIntyre. Ben più movimentata è la successiva "Public Park", che sceglie un'andatura più solenne e percussiva che a sprazzi ricorda la "Plainsong" dei Cure ma che non rinuncia all'ironia del testo ("You have dogs instead of children/ You take long walks instead of spending time with your husband/ But if I had a husband like you/ I would take long walks too").
Echi di Belle and Sebastian si colgono nel cristallino e divertente pop della bella "Essential Wear For Future Trips In Space" (ancora una volta il tema del viaggio nello spazio), mentre "I Hate Scotland" è un cupo e magniloquente spoken word nel quale McIntyre prende di mira il modo con il quale, a suo dire, i giovani scozzesi vengono educati dalle proprie famiglie a essere infelici. Ritmata e divertente è la successiva "One sailor was weaving", con il consueto testo beffardo e autoironico ("I'm not the brightest hope, I'm not the shining light of my generation/ there's nothing in my heart"). Dopo il delicato (ma forse un po' stucchevole) intermezzo acustico di "Olympic Cyclist", è la volta della sognante e psichedelica "Leave The Earth Behind You And Take A Walk In The Sunshine", forse il secondo capolavoro della raccolta, dalle atmosfere vagamente shoegaze, dal coinvolgente crescendo chitarristico (quasi otto minuti) e dal malinconico testo che ripete più volte la cruciale domanda "Are you happy with your life?".
In definitiva, Club Anthems ha i pregi e i difetti classici di ogni compilation di brani già editi: da un lato è una sorta di greatest hits con ben pochi punti deboli, dall'altro paga la sua natura con una certa eterogeneità che rende meno compatto e unitario il lavoro e che a tratti disorienta leggermente. Eppure, tra i solchi di questa manciata di brani, s'intuisce che il gruppo ha stoffa da vendere.

L'occasione per Gordon McIntyre e soci di esprimere appieno il proprio talento arriva presto: nel 2002, sempre per la SL Records, esce il vero album d'esordio dei Ballboy che sfiora immediatamente lo status di capolavoro. A Guide For The Daylight Hours, prodotto da Grant MacNamara, è uno splendido lavoro che unisce la bellezza dei suoni all'ironia dei testi e - elemento che non guasta ma che difficilmente potrà essere apprezzato dai fanatici del download - alla genialità dell'artwork. Il digipack dell'album, infatti, è un vero gioiello di creatività e intelligenza, curato dall'artista di Glasgow David Shrigley, che ha collaborato anche con altri musicisti come Malcolm Middleton e Jason Mraz. Esilaranti alcune illustrazioni realizzate da Shrigley e contenute nel digipack, come la foto di una distesa di foglie secche con la scritta "One day a big wind will come and...", oppure come l'inquietante immagine in quarta di copertina, con un cartello fissato a un lampione che avverte chiunque lo stia leggendo che in quel preciso momento una persona da una delle finestre di fronte sta fotografando il malcapitato e che userà la foto per modellare un fantoccio con il quale fare strani giochi perversi.
Anche da un punto di vista strettamente musicale, A Guide For The Daylight Hours non delude le attese: l'album si apre con la movimentata e divertente "Avant-garde Music", accalorata e ironica invettiva nei confronti di una tizia che lavora in un negozio di dischi ("The girl who works in the record shop/ she says that I am not avant-garde enough/ well so what/ she only works in a record shop/ and I don't give a fuck what she says or she thinks about me"). Il ritmo è scatenato mentre la voce indolente e quasi annoiata di Gordon McIntyre sembra citare apertamente Dean Wareham e i suoi Galaxie 500. Dopo le atmosfere shoegaze della bellissima e ritmata seconda traccia, "Where Do The Nights Of Sleep Go To When They Do Not Come To Me?" e lo scanzonato pop dell'ironica "You Can't Spend Your Whole Life Hanging Around With Arseholes", si arriva alla geniale "I Wonder If You're Drunk Enough To Sleep With Me Tonight", insolito esempio di cristallino indie-pop alla Belle and Sebastian mescolato a un testo semplicemente disarmante per l'autoironia con la quale viene descritto l'approccio sentimentale di un insicuro cronico nei contronti del soggetto dei propri desideri ("A fear of failure won't hold me back from hoping someday you'll be mine/ ... / and I will write my name upon you, take you home to bed and keep you warm/ through the darkest night/ and I wonder if you're drunk enough/ to sleep with me tonight"). L'ironia viene profusa a piene mani anche nella successiva brevissima traccia, acustica e rilassante, intitolata con sublime faccia di bronzo "I Lost You But I Found Country Music".
Molto bella è la melodia elegante, ariosa e arricchita dagli archi di Caroline Evens e Pete Harvey, della sesta traccia "A Europewide Search For Love", mentre la successiva "Something's Going To Happen Soon" è un perfetto indie-pop chitarristico per cuori infranti che si accontentano di osservare da lontano la donna dei propri sogni ("And no-one will ever love you/ as much as I do"). Tra i restanti brani della tracklist va segnalata anche la beffarda "Sex Is Boring", già presente su Club Anthems, con l'ennesimo testo ironico e graffiante ("Take me back to your room/ tie me up and strip me naked/ and lie me on your floor/ and then you'll see that sex is boring with me").
In buona sostanza, A Guide For The Daylight Hours è un'opera eccellente, con una scaletta priva di cedimenti e tanta ironia, a condire una pietanza saporitissima. Forse il suo unico difetto è che, nonostante il livello medio delle canzoni sia altissimo, manca probabilmente qualche brano trainante, in grado di imprimersi indelebilmente nella memoria e trasformare uno splendido album in un vero e proprio capolavoro. Si tratta, comunque, di sofismi che non ledono più di tanto il grande valore di un'opera bellissima e senza tempo della quale, come purtroppo spesso accade, sono in pochissimi ad accorgersi. Il gruppo di Gordon McIntyre diviene quindi un gioiello nascosto a disposizione solo di un ristretto numero di fortunati, tra i quali va sicuramente annoverato anche il celebre John Peel che, invaghitosi della band scozzese, la invita per alcune delle sue celeberrime Peel Sessions.

Il nuovo album dei Ballboy esce nel 2003 ma è ben diverso dai precedenti. Molto più scarno ed essenziale, il disco, intitolato The Sash My Father Wore And Other Stories è in effetti un vero e proprio lavoro solista di Gordon McIntyre, suonato prevalentemente con chitarra acustica e il solo ausilio degli archi di Caroline Evens e Pete Harvey. Il salto è brusco: laddove A Guide For The Daylight Hours era un disco ricco e sfaccettato, per certi versi quasi barocco, The Sash My Father Wore And Other Stories è un'opera praticamente ridotta all'osso, con brani di chiara derivazione folk, intensi e toccanti, ma anche troppo simili tra di loro e, in definitiva, a tratti persino un po' noiosi. L'artwork dell'album è ancora una volta curato da David Shrigley, ma anch'esso è assai scarno, con un disegnino stilizzato a illustrare la copertina e due facciate completamente bianche ad adornare (si fa per dire) il risicato booklet di sole quattro pagine. I testi hanno perso l'ironia beffarda che contraddistingueva i precedenti dischi per scivolare in un dolente e introverso crepuscolo dell'anima.
Difficile segnalare un brano che si differenzi dagli altri o si evidenzi per particolare bellezza, forse l'elegantissima e dolente "I Gave Up My Eyes To A Man Who Was Blind", che racconta l'impossibilità di un amore ("And all I have left, is the heart in my chest/ and I'd give it to you, if I thought you'd be impressed/ but what would you do, with a heart split in two/ and a heart that won't work, is of no use to you"), oppure la bellissima e (quasi) elettrica sesta traccia intitolata "You Should Fall In Love With Me", dal testo malinconico ma non depresso e profondamente impregnato di struggente voglia di vivere, amare e scaldarsi al sole nascente ("The sun is shining in the east/ it means the summer is here/ and I stretch out beneath the sky/ injured but not hurt/ dying but not dead/ and the cemetery will get me in the end/ but the cemetery's not ready for me yet"). Da segnalare anche la scanzonatissima storia d'amore tra due cannibali (!) raccontata nell'ottava traccia intitolata "Kiss Me, Hold Me And Eat Me", abbastanza chiaramente ispirata al minimalismo infantile e giocherellone di Jonathan Richman.
Nella raccolta trovano spazio anche un paio di interessanti cover: una bella versione di "Tell Me", presente sul secondo album dei Galaxie 500 (evidente conferma dell'influenza del gruppo di Dean Wareham su Gordon McIntyre e soci) e una sorprendente "Born In The Usa" di Bruce Springsteen, resa praticamente irriconoscibile in una versione acustica che definire essenziale è davvero dir poco. Alla fine del viaggio resta un'alternanza di luci e ombre e l'impressione di un grande potenziale sfruttato solo a sprazzi: The Sash My Father Wore And Other Stories è un'opera dignitosissima ma che decolla solo a tratti, lasciando leggermente perplessi e preoccupati sul futuro della band di Gordon McIntyre.

Fortunatamente i dubbi sollevati dal terzo album dei Ballboy durano solo un anno: nel 2004, infatti, il gruppo scozzese ritorna al gran completo e in forma smagliante per quello che, lo s'intuisce già dalle prime note, sarà un nuovo piccolo capolavoro. Nella line-up della band c'è stato qualche piccolo ma significativo cambiamento: Katie Griffiths ha lasciato per dedicarsi alla famiglia ed è stata sostituita dalla brava Alexa Morrison al piano ed alle tastiere. Ai violini troviamo Meggan Reid, mentre il disco è co-prodotto dalla band in collaborazione con Michael Bannister. Qualcosa è cambiato anche per quanto riguarda l'artwork dell'album: David Shrigley è stato sostituito da Elizabeth McLean, mentre le fotografie che illustrano il booklet sono dello stesso Gordon McIntyre. Il ricompattarsi della band evidentemente ha favorito l'alchimia interna al gruppo, che inanella dieci tracce senza cedimenti: dispiace solo che manchi un pizzico della irresistibile ironia di A Guide For The Daylight Hours, ma il gruppo saprà correggere il tiro successivamente.
The Royal Theatre
si apre immediatamente con uno dei suoi capolavori: lo splendido guitar pop di "Let's Fall In Love And Run Away From Here", nella quale un McIntyre tornato in splendida forma, sia per quanto riguarda il canto che per il songwriting, racconta una piccola storia dai bassifondi della metropoli, con l'avventore di un locale di strip-tease che fantastica di strappare una bella ballerina dell'est europeo dalle sue squallide esibizioni per fuggire insieme verso un futuro migliore, finché il suo sogno d'amore non s'infrange alla fine dell'ennesimo bicchiere per tornare bruscamente all'amara realtà ("Finish up my last drink/ finish what I came for/ and lift my head up from my chest/ head into the darkness/ I'll be back tomorrow/ another day another dance"). Molto bella anche la ritmata seconda traccia, intitolata in maniera semplicemente fulminante "I Don't Have Time To Stand Here With You Fighting About The Size Of My Dick", mentre i Belle and Sebastian sembrano fare capolino nella magnifica "The Art Of Kissing", arricchita dai backing vocals di Alexa Morrison e contraddistinta da un testo malinconico che stride in maniera bizzarra con la solarità della melodia ("You taught me how to love/ and you taught me how to hide it/ .../ and now, you're in the garden in the rain/ and your skin's so wet it's like you'll never be dry again/ and you'll never be young again"). Il secondo gioiello dell'album arriva probabilmente con il fresco e movimentato indie-pop della quarta traccia, intitolata - nuovamente in modo geniale - "There Are Only Inches Between Us, But There Might As Well Be Mountains And Trees".
"We Are Past Our Dancing Days" è invece un piacevole intermezzo arricchito dalle struggenti note del violino di Meggan Reid a dare al brano coloriture gradevolmente folk, mentre con lo scatenato pop chitarristico di "I Died For Love" e "Time Out Duide" è quasi impossibile impedire al proprio piede di battere ritmicamente il tempo. Il terzo apice della raccolta giunge senza dubbio con la psichedelia dell'ottavo, tiratissimo, brano intitolato "The Ghosts Of New Orleans". L'album scivola elegantemente verso il termine con "Shallow Footprints In The Snow", romantica e suadente ballata che racconta di un amore perduto nella neve che cade nella notte ("And you go, shallow footprints in the snow/ leave the darkness in this hole/ I watch until you go/ I wonder if you know"). Il sipario cala definitivamente con le morbide e avvolgenti atmosfere shoegaze di "Now You Can Be Good To Yourself At Home".
In definitiva, The Royal Theatre è un disco imperdibile per qualsiasi appassionato di indie-pop, un vero e proprio scrigno stracolmo di preziosi tesori. Anche in questo caso, come prevedibile, se ne accorgono davvero in pochi e sul gruppo scozzese cade un oblio che, complice anche un approccio decisamente rilassato e poco commerciale di McIntyre e soci, dura ben quattro anni.

Il disco successivo dei Ballboy, intitolato I Worked On The Ships, esce nel 2008 per la minuscola Pony Proof Records: la line-up della band è praticamente immutata, mentre la musica assume coloriture maggiormente folk, melodiche e delicatamente malinconiche. Il gruppo di Gordon McIntyre è definitivamente maturato: gli scherzi goliardici e l'ironia del passato sono maggiormente a fuoco, così come la costruzione melodica delle canzoni e la consapevolezza di saper scrivere brani magnifici e senza tempo. L'album si apre con le dolcissime note di "The Guide To The Short Wave Radio", ballata d'amore introdotta dal violoncello del redivivo Pete Harvey ("So kiss me in the night/ dismantle my whole life/ trade private kisses in a public place/ with a secret smile upon our face"). Il tema romantico è confermato anche dalla seconda traccia della raccolta, probabilmente anche il suo capolavoro, la scorrevole e delicatissima "Songs For Kylie" che, in maniera deliziosamente anacronistica, racconta di canzoni conservate in una cassetta Tdk e che sembra invocare l'amore come unica panacea per cambiare la propria vita prima che sia troppo tardi ("Before the desert comes/ you can change your mind"). Il brano è davvero splendido, forse il più  intenso mai inciso dalla band scozzese, con il pianoforte di Alexa Morrison in bella evidenza e la voce malinconica di Gordon McIntyre a dare spessore e intensità alla minimale vicenda raccontata nel testo. Ancora una volta i Ballboy si confermano magnifici cantori delle piccole cose, pittori di acquerelli per una festa di paese, persone normalissime con il dono di scrivere belle canzoni. Una malinconica figura femminile ritorna anche nella terza traccia, la più movimentata "Cicily", mentre con la successiva "Godzilla Vs The Island Of Manhattan (With You And I Somewhere In-Between)" ritorna la proverbiale ironia della band a soprendere e divertire mentre con il suo cristallino indie-pop descrive i devastanti effetti dell'attacco di Godzilla all'isola di Manhattan, con i malcapitati protagonisti del brano alle prese con il tentativo di salvare la pelle!
Semplicemente esilarante è il testo della successiva "Disney Ice Parade", eseguita dal solo McIntyre con l'ausilio di ukulele e armonica ("You left your notes on lesbian sex/ on the fishtank in the hall/ it took me all afternoon/ to read them all/ I learned more in that day/ than I've ever learned before/ I don't think you and I/ should go clubbing anymore/ last night your mother called to say/ your father's run away/ with the man who plays the polar bear/ in Disney's Ice Parade"). Dopo il bel crescendo di "A Relatively Famous Victory", ancora una volta arricchito dal violoncello di Pete Harvey, con la successiva traccia, intitolata "Empty Throats", torniamo decisamente a volare tra le stelle della Galassia 500, ennesima conferma della passione di McIntyre e soci per il gruppo di Dean Wareham. Il desiderio di volare ritorna nel titolo della bella "Above The Clouds The Sun Is Always Shining" e nella ancor più efficace "We Can Leap Buildings And Rivers, But Really We Just Want To Fly", dolcissima, solare e scanzonata, sicuramente uno dei pezzi migliori dell'album, che si chiude in bellezza con le eccellenti "Picture Show" e "Absent Friends".
I Worked On The Ships
è probabilmente il capolavoro dei Ballboy, il classico disco perfetto, vero e proprio compendio dell'arte di un gruppo che con la maturità ha raggiunto la piena consapevolezza dei propri mezzi e una capacità di scrittura che sorprende e convince. Eppure anche un disco di tale bellezza, per l'ennesima volta, passa totalmente inosservato.

I Ballboy non diventeranno mai famosi, questo è ormai assodato, ma la cosa non sembra turbare i sonni del quartetto di Edimburgo, che continua a dipingere i propri deliziosi bozzetti dall'estrema provincia dell'impero. Nel 2009 Gordon McIntyre decide di dedicarsi a progetti alternativi: dopo aver inciso la colonna sonora di uno spettacolo teatrale chiamato "Midsummer", il cantante ha pubblicato per Pony Proof un album intitolato The Universe For Beginners a nome ++Money Can't Buy Music, un side project in collaborazione con la cantante svedese Maja Mangard e definito, sul Myspace della neonata band, come un lavoro di "electronic folk pop" e con l'avvertenza (al solito autoironica) che i due non hanno alcuna idea di dove la band andrà a parare, ma che sanno perfettamente come arrivarci. Tra le fonti d'ispirazione per il neonato duo vengono citati tra gli altri Galaxie 500 (non avevamo dubbi), Stereolab, New Order, My Bloody Valentine e Mercury Rev.

La storia dei Ballboy, per adesso, si chiude qui, con il bilancio estremamente positivo di cinque album oggetto di culto per pochi appassionati. Il gruppo scozzese probabilmente non verrà mai citato nelle pagine della storia del rock, difficilmente riscuoterà consensi commerciali o raccoglierà articoli sulle pagine patinate delle riviste musicali. Eppure Gordon McIntyre e soci non sembrano dolersene più di tanto, troppo concentrati sulle cose che davvero contano nella vita: fare musica, raccontare storie buffe e romantiche e, soprattutto, sognare di volare nello spazio.

Ballboy

Discografia

BALLBOY
Club Anthems (2001)

7

A Guide For The Daylight Hours (2002)

7,5

The Sash My Father Wore And Other Stories (2003)

The Royal Theatre (2004) 7,5
I Worked On The Ships (2008)

8

++MONEY CAN'T BUY MUSIC
The Universe For Beginners (2009)

Pietra miliare
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