Ci voleva questo album, il secondo lavoro solista di Dot Allison: ci voleva per dimostrare che dopo tutto l'Inghilterra sa ancora sfornare artisti capaci di scrivere canzoni pop con classe e stile, nel ricordo degli indimenticabili eroi del movimento "shoegazer", che nei primissimi anni Novanta erano stati ad un passo dal rendere il pop un'arte degna di questo nome, concentrandosi unicamente sulla musica e annullando totalmente la componente comunicativa e commerciale, prima di essere spazzati via prima dal furore del grunge e poi dalla ben più distruttiva arroganza e banalità del cosiddetto britpop.
E oggi, nel 2002, a riprovarci è la semi-sconosciuta, almeno da noi, Dot Allison (reduce dalla pregevole e sfortunata avventura degli One Dove) con un disco che è un flusso continuo di canzoni incantevoli per la grazia e la raffinatezza delle melodie e per la profusione di ingegnose soluzioni sonore che donano energia e potenza alle canzoni, ad esempio al singolo "Strung Out" (che ricorda molto gli Slowdive di "Souvlaki") e alla suggestiva "Make It Happen", vicina alla new wave elettronica di inizio anni '80, che insieme rappresentano senza dubbio il vertice dell'opera.
La produzione di prim'ordine e contribuisce non poco alla riuscita complessiva del disco, dato che, oltre che alla stessa Allison, sono impegnati due mostri sacri come Dave Fridmann (geniale produttore che ha contribuito non poco ai successi di Mercury Rev e Mogwai), e Keith Tenniswood, membro degli elettronici Two Lone Swordsmen. Tanto lavoro in fase di manipolazione sonora correrebbe però il rischio di ridurre il tutto ad un freddo e sterile esercizio di stile, se non fosse bilanciata dalla voce, a tratti davvero splendida, di Dot Allison. Una voce spontanea, ingenua e melodiosa che riesce a plasmarsi alla perfezione alle sonorità futuristiche delle canzoni. Non c'è da gridare al miracolo, né al capolavoro, ma vale comunque la pena scoprire questo album e soprattutto la sua autrice, un talento davvero promettente.
25/10/2006