Ritornano i Magnetophone, alfieri misconosciuti della scena electro britannica (ma pure europea), dopo ben cinque anni di silenzio. Tanto è, infatti, l'arco temporale che li tiene separati tra primo ("I Guess Sometimes I Need To Be Reminded Of How Much You Love Me"; 4AD, 2000) e secondo Lp, durante il quale feeling , interplay e scrittura appaiono se non altro maturati. E' ancora voyeurismo electro dalle inquiete spavalderie ambientali, vocalismo dreamy-lo-fi e campionamenti creativi come punto di sutura, quello che emerge dall'ascolto di questo nuovo lavoro su 4AD. Si comincia con carillon da pelle d'oca di synth a cappella mentre geiger electro ne sfaldano indefinitamente la percezione ("Let's Start Something New"), e si prosegue con il sampling psichedelico e sornione di guitar-sound effettato e rinforzato da un upbeat Moby-iano ("Kel's Vintage Thought").
La spettacolare ipercinesi kraut di "Benny's Insobriety" proietta un outer space di caleidoscopi fraseggi Cluster-iani in reverse, cellule melodiche in rotazione, drum'n'bass supersonici, e - nel mezzo - una sospensione d'immensità virtuale: avant-IDM. "The Only Witching You'll Be Doing" attacca con un arpeggio lo-fi per poi farsi sommergere da solenni pennate in ultradistorsione shoegaze, dove pure lo scivolamento delle dita sul manico dà luogo a pure radiazioni emotive. C'è poi "Rae And Suzette", dal pregevole mimetismo a base di colpi di mixer Disco Inferno, a dividersi tra organo in gorgo mistico e campioni di fuochi d'artificio utilizzati come spunto ritmico aleatorio, o "Kodiak" e il suo sampling percussivo alieno, o ancora la preghiera di "A Sad Ha Ha (Circled My Demise)" per stasi spettrale di synth e vortici dissonanti in lontananza.
La seconda parte dell'opera modula queste componenti in piece possibilmente ancor più sentite. "Motion G", statica e dolente, ha un accompagnamento trip-hop Thievery Corporation a cullare una sordina raga che pian piano si spande tutt'intorno. "I've Been Looking Around Me" è una vignetta agreste-sognante con piano campionato trillante, fisarmoniche nei due canali stereofonici e un canto gospel-blues. "In The Hours After", piccolo gioiello di mimetismo alle prese con il fantasma del riff della Stones-iana "Street Fighting Man", farebbe crepare d'invidia l'attuale Caribou. Infine, "Let's Start Something Smooth", reprise variata dell'incipit (tamburello, chitarre acustiche e linea vocale), riprende in braccio l'ascoltatore dopo tanto smarrimento timbrico-armonico. Al secondo tentativo, John Hanson e Matt Huish Saunders (entrambi nativi e residenti a Birmingham) propongono una ricetta duratura di modellazione acustica, sia elucubrazione che originalità d'espressione, cura del discorso generale, lettura di registri di lunga distanza che imposta il colpo e irradia efficacemente in più direzioni. Non banali montaggi di post-produzione, ma ricerche empiriche (esistenziali?) sulla gamma brillante del suono (dell'umanità?).
Tra gli special guest dell'album, quello delle terribili sorelle Deal (per l'occasione improvvisatesi fantasmagoriche ninfette ambient-pop ) fa una discreta figura. Un'autodefinizione pittoresca e composita: "Alpha Beti Bon-Tempi Underwater Electro-Hydro Sound-Fusion".