A sessantatré anni "suonati" Paul McCartney sembrava roba da museo delle cere. Uno degli eleganti e incanutiti tirannosauri del rock giurassico, ex "favoloso" venerato da grandi e piccini, ma ridotto ormai a souvenir della Swingin' London. Senza l'ebbrezza vertiginosa delle alte classifiche (gli ultimi hit single risalgono a diciotto anni fa), Paul aveva provato a stupire con effetti speciali: album strumentali per orchestra, deliri di trance-ambient pubblicati sotto pseudonimo e passati praticamente inosservati, cover di classici del rock'n'roll senza infamia e senza lode. Nulla che fosse realmente all'altezza del suo nome o che esulasse dalle solite valvole di sfogo: concerti/evento "autocelebrativi" (come la recente apparizione al Colosseo di Roma o il festival di Glastonbury 2004) o iniziative benefiche per il terzo mondo ("Do They Know It's Christmas" della riformata Band Aid; chiusura in pompa magna del monumentale Live8). La carriera del Nostro sembrava giunta a un binario morto, disperatamente bisognosa di una boa per sfuggire alla tempestosa calma piatta. Qualcosa. O forse qualcuno.
La nuova svolta nella carriera di McCartney arriva quando George Martin, storico ex produttore dei Beatles con cui Paul è ancora in ottimi rapporti, telefona per dare un consiglio: là fuori c'è l'uomo in grado di risollevare le quotazioni artistiche, si chiama Nigel Godrich. Ha lavorato "in regia" con la crème del rock anni 90, dai Radiohead ai Pavement passando per Beck, lasciando una lunga scia di ottimi dischi alle sue spalle.
Paul si fida e lo contatta. La lavorazione non è delle più serene (Godrich non ha problemi a dire in faccia a "sua maestà" McCartney tutto ciò che non gradisce o che non funziona), ma alla fine il gioco vale la candela e il risultato finale viaggia ben oltre le aspettative: "Chaos & Creation In The Backyard" è il miglior disco di Paul da venticinque anni a questa parte, ciò che lui e i suoi fan aspettavano da tempo e che finalmente è arrivato.
Sono tre le rivoluzioni firmate Godrich: via la band di supporto (a parte gli archi e i fiati, un paio di momenti di chitarra elettrica e batteria, Paul suona tutto da solo), via gran parte dello storico humour testuale e l'eccesso di melassa e sdolcinatezza in sede di arrangiamento. A fare capolino è invece un nuovo sound crepuscolare e riflessivo, autunnale e malinconico, ricco di suoni e suggestioni complesse eppure assolutamente gradevoli all'ascolto. Torna inattesa molta dell'ispirazione giovanile, tanto dei Beatles quanto dei primi lavori da solista (non a caso "Chaos..." è stato da più parti comparato a "Ram" e "McCartney"), così come la voce, chiara e centrale e inconfondibile, neanche fosse il 1970.
Il disco sembra non avere punti deboli: c'è il Paul più barocco e british di "English Tea", una marcetta di violini che fa tornare indietro, ai tempi delle sue "Honey Pie" e "Martha My Dear"; quello per voce e chitarra acustica della folleggiante "Jenny Wren" (qui siamo nei dintorni di "Mother Nature's Son"), arricchita da uno splendido solo di flauto armeno; il Macca rock del dinamico primo singolo "Fine Line", con il tandem piano/sezione ritmica ad accompagnare le parti vocali.
E poi una manciata di ballate pop da lasciare senza fiato, quasi a voler sottolineare quanto Paul ha ancora da insegnare ai vari Coldplay in materia di melodia: "How Kind Of You", una mini-suite d'amore postmoderno strutturata in più movimenti, una torre che si erge verso il cielo tramite le tastiere e i loop continui di batteria. La pianistica "Anyway", che è quasi una citazione calligrafica di "People Get Ready" (un classicone soul anni 60), ma che commuove ugualmente, tanto è semplice, dolce e rassicurante la naiveté infusa da McCartney. E che dire di "Friends To Go", un altro incantesimo intimista, gemello separato alla nascita dalla beatlesiana "Two Of Us"? E dell'esplorazione quasi floydiana di "Riding To Vanity Fair", tra accordi in minore e tastiere d'ogni tipo? Qui ce n'è davvero per tutti i gusti, si rischia l'indigestione. Tanto che si fa fatica, come detto, a trovare reali debolezze che non siano frutto di una scelta puramente soggettiva.
Potremmo dire che "Promise To You Girl", con quell'andamento rock e festaiolo e quei cambi di tempo che la fanno assomigliare a un incrocio tra le armonie vocali di "Because" e "Back In The USSR" (ancora Beatles!), stona un po' con le atmosfere del resto del disco. Si potrebbe poi aggiungere alla lista "A Certain Softness", dall'arrangiamento "soft-latin pop" ricco di percussioni argentine melliflue, falsetti e romanticherie da cartolina. Ma si tratta comunque di dettagli all'interno di un grande disco, importantissimo perché traghetta con onore Paul McCartney nel nuovo millennio. Dal caos alla creazione in tredici canzoni, dalla stasi alla rinascita "with a little help from a friend".
12/06/2012