Al traguardo del quarto disco, i pisani Zen Circus possono ormai definirsi a tutti gli effetti una band di culto.
Stupisce di questo trio (Appino - voce e chitarra; Ufo - basso; Karim Qqru - batteria) la capacità di rielaborare un ampio spettro di influenze attraverso la lente dell'ironia; un'ironia dissacrante, tagliente, che non aggredisce solo la scrittura dei testi, ma anche la stessa componente musicale.
Tra lo-fi, retrogusto vintage e il calore della registrazione analogica, "Vita E Opinioni…" mette in pista un'allegria contagiosa, lontana da certe asperità intellettualoidi di certo rock italiano e più propensa a giocare con le carte della semplicità, anche se nient'affatto minata dal virus della banalità. Un surrealismo punk-pop, sottoposto a variazioni sul tema, tra accenti psycho-folk e dissertazioni acustiche.
Diviso in due parti ("Face 1: La Vie"; "Face 2; Les Opinions"), il disco conserva una struttura molto compatta, cui solo ripetuti ascolti possono rendere giustizia.
Dinoccolati power-pop (metà Violent Femmes, metà Replacements) - "Dead In July" - si inseriscono con grazia in un tessuto compositivo davvero intrigante, cui la lingua francese sembra conferire una grazia e un candore inspiegabili ("Les Poches Sont Vides Les Gens Sont Fous") e i ritmi caraibici una vena di esotismo sbarazzino, come avviene nella danza sbilenca de "L'inganno".
Assolutamente da antologia l'avvolgente minimalismo country di "A Kind Of Pop Lullaby" (vetta assoluta del disco), mentre il fantasma di Rocky Roberts, accerchiato da bambini ululanti in "I Bambini Sono Pazzi", rende bene l'idea del loro revival trasversale e surreale, come conferma lo stesso punk-folk di "Hellakka".
Si divertono a suonare, gli Zen Circus. Lo senti in ogni loro singola nota. Non sanno prendersi sul serio e forse proprio per questo sanno essere, al contempo, anche maledettamente coinvolgenti.
Impossibile restare indifferenti dinanzi alla loro musica. Brani come "L'amico Immaginario " hanno quel sapore sixties che intriga e chiama al coro. Le scintille luccicanti della chitarra, la batteria pestona e goliardica (a là Ringo Starr), il basso gommoso ed essenziale inscenano assurdi omaggi all'epoca beat, ma sanno anche navigare in torbide acque psichedeliche ("Colombia"), operare con un'anima bifronte (acustico-noise in "Summer Of Love"), accarezzare un'idea di musica leggera creativa e visionaria che traghetta l'Alberto Camerini dei primissimi lavori ai giorni nostri ("Aprirò un bar") oppure regalare un esempio di power-ballad senza fronzoli ("Fino a spaccarti due o tre denti").
E a mandare definitivamente in orbita il loro eclettismo ci pensa la strumentale "Visited By The Ghost Of D. Boon", che non puoi fare a meno di immaginare come un'outtake di lusso proveniente dalle registrazioni di "Double Nickels On The Dime".
Folli come ormai sappiamo, gli Zen Circus si congedano con una "special bonus track" che mixa e diluisce in una coltre di free-noise tutto il disco, ma suonato col tasto fast forward bloccato.
Non passa certo di qui la strada maestra del rock italiano. Ma, nonostante tutto, amarli è quasi un obbligo morale.
10/12/2006