Isan

Plans Drawn In Pencil

2006 (Morr)
indietronica

Bisogna ammetterlo candidamente: l'elettronica da ascolto non se la passa proprio bene. Il genere, le cui coordinate fuorno tracciate più di dieci anni orsono dagli Autechre, sembra soffrire di una limitatezza di modi d'esposizione: poche strade, già tutte battute o quasi, e assenza di alternativa fra ripetitività all'estremo e contaminazione con territori più distanti.

I risultati non sono dei più confortanti, sia alla Warp che alla Morr. Lasciando Booth e Brown nel loro mondo sempre più involuto su sè stesso (l'ostico e poco riuscito "Untitled" dello scorso anno), anche alfieri più recenti e dalle elevate qualità mostrano palesi difficoltà nell'evoluzione della loro formula (penso ai discussi ultimi Boards Of Canada ed agli irriconoscibili, nonchè, a mio modo di vedere, pessimi, ultimi Lali Puna). Anche gli Isan (un po' l'anello di congiunzione fra le due case), che magari non sono un nome di primo livello, ma che in passato avevano mostrato buone qualità, hanno palesato segni di crisi in quella che era stata la loro ultima fatica, "Meet Next Life" (anno 2004).

Il duo scozzese (Antony Ryan e Robin Saville) si è accorto benissimo di ritrovarsi in mano ben poche carte e per il suo nuovo "Plans Drawn in Pencil" ha giocato d'astuzia. Passo indietro e chiusura nel proprio mondo, per disegnare un disco programmaticamente fuori dal tempo e riassuntivo di una scena sull'orlo (o oltre l'orlo) del collasso. Un'operazione che sa di post-mortem e che trova giustificazione come approccio riassuntivo. In pratica gli Isan versione 2006 cesellano tredici acquarelli melodici, rigorosamente color pastello e interamente strumentali, in cui vengono mescolati, nel più accessibile impasto Morr, tocchi di Autechre e ambient music. Come per dire: questa era ed è la nostra musica, questo sappiamo fare e questo vogliamo fare.

Il risultato sta agli Autechre come i Van Pelt stavano agli Slint. Soltanto che "Sultans of Sentiments" riusciva ad essere un classico fuori tempo massimo mentre "Plans Drawn in Pencil" no, suonando più come un epitaffio, scritto, comunque, con classe. Oltre a questa, che vien fuori in modo brillante nella cura del suono, gli Isan hanno dalla loro ancora qualche buona melodia. Lo testimoniano le pulsazioni sbarazzine e pastorali di "Look and Yes" e i motivetti di tastiere che scampanellano gommose in "Yttrium" e molto più umane in "Five to Four, Ten to Eleven". E soprattutto la linea, davvero bella, disegnata dai synth dilatati e distensivi di "Cinnabar" (il brano migliore della raccolta), poggiati su squittii di beat.

D'altro canto la ripetitività fa un po' da marchio di fabbrica per il disco, senza riuscire a sublimare, tutt'altro, incappando invece in palesi autocitazionismi, come "Ruined Feathers", che sembra la versione al ralenty della poco precedente "Corundum". I rallentamenti, poi, quando non sono calibrati al meglio, rendono il disco poco scorrevole, anzi sfiancante, come in "Roadrunner", paesaggio introverso con le note di piano che si trascinano lente, troppo lente, in crescendo estenuante.

I difetti ci sono eccome, dunque, eppure al tempo stesso ci sono momenti in cui vengono dimenticati. Come quando ci si imbatte nell'effetto trance di "Immoral Architecture", pura ambient dall'ottimo impatto o nella dolcezza evocativa di "Seven Mile Marker". Finisce così che il bicchiere è tanto pieno quanto vuoto. Sono giunti alla frutta gli Isan, è vero. Ci hanno riservato però una carrellata di dolci in memoria dei bei tempi. Forse non abbiamo più spazio, e forse non tutti erano buoni: che qualcosina ci delizi ancora, però, è difficile negarlo.

Tracklist

  1. Look and Yes
  2. Cinnabar
  3. Yttrium
  4. Roadrunner
  5. Ship
  6. Immoral Architecture
  7. Amber Button
  8. Five to Four, Ten to Eleven
  9. Corundum
  10. Stickland
  11. Seven Mile Marker
  12. Working in Dust
  13. Ruined Feathers

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