Lullabye Arkestra

Ampgrave

2006 (Constellation)
avant-rock

Il progetto dei canadesi (di Toronto, per la precisione) Katia Taylor e Justin Small, rispettivamente basso e batteria - nuovo duo maschio-femmina - sta a metà via tra sfuriate hard-stoner e blues-rock (bianco) dalle notevoli sfumature orchestrali. La Lullabye Arkestra così formata ha dato alle stampe, su Constellation, il proprio album d’esordio intitolato “Ampgrave”. Trattasi di una collezione di brani (vagamente imparentato con il formato del ciclo breve di canzoni) che non lesina tiro e atmosfera, ma che pure non riesce a far molto per distinguersi da una certa medietà di fondo (in primis dal sound classico della scuderia di provenienza).

L’apertura di “Unite!!!!!!!!!!!!!!” è però assolutamente pirotecnica. Dapprima un organo liquido e soffuso, quindi un crescendo thriller e l’entrata in scena dei due protagonisti (basso e batteria), una sorta di danza macabra collettiva in tempo di marcia funebre e un’accelerazione terribile macinata dalle compressioni di basso e dalle cadenze al cardiopalma della batteria. Il tutto è accompagnato da performance corali al limite dello spasimo e refrain di psicolabili. Mood analoghi si ritrovano più avanti, con brani come “Nation Of Two” (sorta di psychobilly-cowpunk condotto dalla sola coppia basso-batteria senza la banda) e il seguente “Bulldozer Of Love”, Sabbath-stoner drogato da cacofonie, barriti dissonanti dei fiati, canto Royal Trux e cambio di tempo finale. Il commiato di “Ass Worship” espone nuovamente una batteria assassina e un riff stoner del basso, vocals hard rock e contorni orchestrali tra Broadway e un’orchestrina di paese.

L’altra faccia del disco è rappresentata anzitutto dalla melodia di “Come Out, Come Out”, un dimesso salmo per voce e organo vicino a Mates Of State e Fiery Furnaces più lirici nelle armonie vocali (e nei sentimenti accorati della chiusa), che riesce a mantenere una certa tensione sottocutanea, ma che pure difetta del respiro armonico degli Arcade Fire. Quindi viene il doppio blues-psych - forse un po’ troppo allungato - di “All I Can Give Ya” e “Hold On”, conteso tra Jefferson Airplane circa “Volunteers”, gli Holding Company e il ricordo di certo spirito woodstockiano (ben a distanza dal caba-punk dei Dresden Dolls). Infine, “Y'Make Me Shake”, forte di fiati incalzanti e sospensioni caotiche, suona come una regressione del foxcore all’era della psichedelia barocca.

Sebbene abbia corpo e vibrazione, aggressione in salsa di sfrontatezza, rimane fondamentalmente un album di facciata. Si arricchisce in spontaneità, disperde freschezza, lascia spesso il tempo che trova. Gli evidenti limiti tecnici del duo sono esternati e camuffati dalla virulenza d’esecuzione, in effetti quasi prodigiosa, ma soprattutto sono rischiarati da un fondale orchestrale duttile con discrezione. Dietro (non davanti) all’inquieta sezione ritmica suonano, nell’ordine: Ohad Benchetrit (sax e urla), Brian Cram (tromba e urla), Jason Baird (sax senza urla), Shelton Deverell (organo), Julie Penner (violino), più lo psicotico coro Oblivia di dieci elementi. Sotto il nickname di Deadeye c’è Marco Landini, pseudo-direttore d’orchestra, anzi d’arkestra, e nuovo gotha della chitarra improvvisata di Toronto, attivo anche nel progetto Ghostlight (con Brodie West).

30/10/2006

Tracklist

  1. Unite!!!!!!!!!!!!!!
  2. All I Can Give Ya
  3. Hold On
  4. Y'Make Me Shake
  5. Come Out, Come Out
  6. Nation Of Two
  7. Bulldozer Of Love
  8. Ass Worship

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