Secondo album per i Meeting Places, band neo-shoegaze statunitense (base a Los Angeles) con all’attivo il fragile debutto “Find Yourself Along The Way” (Words On Music, 2003), disco pregno di esternazioni umorali nella vena dei maestri My Bloody Valentine e Mazzy Star. Ora Chase Harris e compagni ci riprovano con un nuovo album conciso e tecnicamente rifinito, ma che non riesce a portare avanti il discorso diagonale varato con l’ opus numero uno.
Così, anche le tracce di rilievo di "Numbered Days" denunciano problemi generalizzati (tutti afferenti a ingenuità stilistiche di genere). Anzitutto c'è "Sink Into Stone", mid-tempo immerso nella batteria greve e nelle copiose distorsioni che esalano quasi vapore melanconico, quindi il tirato opener "Love Like the Movies", stavolta con drumming percussivo alla Velvet Underground, canto alla Pale Saints e chorus Bloody Valentine (ma il tutto suona piatto e troppo atmosferico), e una "Nothing's The Same" inframezzata da clangori che quasi richiamano le fabbriche aliene di proprietà Neurosis.
"Hall Of Fame" e la title track si occupano quindi di gestire il lato pop della questione (la prima con tempo baldanzoso, ma con ritornello debole, la seconda più noiosamente centrata sull’atmosfera degli arpeggi e dei contrappunti), mentre "Pause" è una canzone iper-suadente che non fa nulla per distinguersi dalle altre e pure fa rimpiangere certi concitati Muse, e "The City's Asleep" - complessivamente congegnata meglio - fa leva sui trucchi di produzione.
"Mumble" è una ballata puntellata di nitore accordale con una strofa vicina ai primi criptici Rem, mentre "Cardboard Robot" (quasi la diretta continuazione di "Pause") chiude i battenti tramite tempeste di chitarre (quasi dei Seam svogliati), un furbo cambio di tempo in accelerazione e uno scontatello gran finale pseudo-apocalittico, con poca/nulla fantasia.
È una raccolta dissennata - inquinata dalla retorica dello shoegaze storico -, confusa e paranoica di canzoni assemblate da una volontà postmoderna di scarso fascino. Tra gli ampi e scenografici (megalomani) sprechi di carrellate atmosferiche, si salva la generale tendenza radiofonica, talune performance del batterista e "Nothing's The Same"; la palma d'oro del pop la vince ai punti "Hall Of Fame". Se (sottolineiamo, se) c’è un nuovo "Loveless" in vista, la Words On Music ora non può più permetterselo.
11/12/2006