Carta è una band-collettivo di San Francisco impostata sul modello canadese (Broken Social Scene, Arcade Fire, Besnard Lakes). L’organico che - nell’arco di ben due anni - incide il disco lungo su Resonant "The Glass Bottom Boat" è composto dai fondatori Kyle Monday e Jason Perez (entrambi chitarristi in stile Giardini di Mirò), più una formazione di aiuti stabilizzatasi su Jared Matt (tastiere, ad affiancarsi alla già nota Sarah Bell), Sacha Galvagna (basso, a sostituire l’originario Ray Welter), Alexander Kort (violoncello), Sonny Cullbertson (batteria), più il produttore Eli Crews (già a contatto con certa Elephant6).
L’attacco di "Kavan", via arpeggi cristallini di chitarre e contrappunto progressivo (piano, tromba, leggere dissonanze, drone di cello) chiarisce subito gli intenti del progetto, in tutto e per tutto epigonale alle passate esperienze del post-rock più convenzionale. "Burning Bridges" espone un effetto pastorale di fraseggi cantabili (soporifero quanto il peggior ambient-guitar), "Larva" è una concertazione serena e autoindulgente da Early Day Miners (o Giardini di Mirò pastellati), e "Oliva" è scontato rapimento sognante alla Tristeza.
La title track è il brano più ambizioso, e pure quello più sbrodolato; attacca un arpeggio appena più free-form, quindi entra a sorpresa una voce femminile folkish a modulare la struttura in senso epico, fino al modo maggiore (accelerato) del finale che chiude il pezzo in stile Arcade Fire. "Simultane" si distingue invece per i toni inquieti alla Shipping News, una batteria più spessa e un cambio di tempo che porta la piece a diventare degna base per una ballata del miglior Pedro The Lion (con aperture para-sinfoniche prese a prestito dai Gregor Samsa).
La seguente "If Not For You Then Not For Me" mette insieme oasi folk-pop con sovratoni a tecnica mista (velata elettronica, chitarre scampanellanti al ralenti), e imbastisce una placida cavalcata che diventa via via vagamente instabile (e suona come un’idea lasciata a metà).
Scondita razione di musica strumentale neo-post (vieppiù veniale, da picnic ferragostano), e neo-con, provvista della sola convinzione che due o tre impasti atmosferici - che di rado prendono quota - bastino a renderla pervasiva. Come per le passate esperienze, l’estenuante caccia al momento clou d’ogni brano la deve fare l’ascoltatore smaliziato, pur coadiuvato da una lussuosa parata d’organico acustico e di minutaggi estesi.
Lo spreco di risorse è dietro l’angolo, ma - per un soffio - non ripete il flop della Bell Orchestre (side-project di Sarah Neufeld e Richard Perry degli Arcade Fire, ndr). L’ugola della title track, quasi una Christina Carter della porta accanto, è della rediviva Sarah Bell.
(19/11/2007)