Negli ultimi due anni Kevin Shea deve aver smarrito le chiavi di casa, stabilendosi a tempo pieno nei locali jazz/intellettualoidi di Brooklyn, in compagnia di Matt Mottel (synth) ed Ed Bear (sax). Dai Coptic Light ai Talibam!, passando per People e Get The People, l’ex Storm & Stress è ormai un’istituzione a New York: non si contano le produzioni in cui compare il nome del più grande sperimentatore percussivo degli anni 2000.
A due anni di distanza dall’omonimo esordio in cd-r, una serie di produzioni caserecce e non (cd-r distribuiti ai concerti in estrose confezioni arty), il trio Talibam! torna sotto i riflettori più potenti della Azul Discografica con un disco, in realtà il primo “ufficiale”, a dir poco nevrastenico.
In “Ordination Of Globetrotting Conscripts”, Shea chiama a sé alcuni dei migliori musicisti delle “gallerie d’arte sonica” della Grande Mela, tutti appartenenti (più o meno) a quel circolo di sperimentatori (jazz?) futuristi, che riconoscono nel polistrumentista jazz afroamericano Anthony Braxton la propria guida spirituale.
Il free jazz rock contenuto dell’introduttiva title track ci riconduce inizialmente (e parzialmente) agli australiani Acoustic Ladyland. “Guns And Butter” è un vertice composto da due spirali, in cui si rincorrono a vicenda le varie componenti del suono, mentre Shea e Mottel dettano i tempi frastornando a turno con temi in apertura razionali, per affondare di seguito nel no-sense più anacronistico.
La smania avanguardistica dei Talibam! non conosce mezze misure, prosegue la sua folle corsa negli incroci dadaisti di ”Revolutionary Bummer Weed And The Syncretic Narcotraffickers”: i sei secondi di silenzio assoluto posti a metà del percorso stroncano in due tracciati il suo sviluppo, deviato in coda da un intarsio malato, a tratti aneroide, del synth.
I Mac 2/Mac 3 vengono facilmente raggiunti in “Rambo Passeggiata”, tre minuti di caos totale prima che “A Petroglyphic Massacre” ristabilisca i toni e gli animi con un motivetto jazz à-la Gong, abbozzato dal sax di Bear.
Fuoriesce spesso anche un’attitudine orientaleggiante, coalizzata dall’utilizzo di strumenti medioevali (!), attraverso la quale l’estetica sarcastica accumulata dalla sezione ritmica, imbastita da Shea, produce un senso di smarrimento temporale. “New Burnt Century” sbatte l’ascoltatore in un trivio di sibili metallici, arduo definire la provenienza delle singole digressioni, e pensare che nel finale c’è anche il tempo di improvvisare una sorta di jazz-cabaret d’annata.
La conclusiva “The Spectre Of Water Wars” paralizza gli intenti di Mottel, Bear e Shea in un abbraccio cosmico di rumorismi industriali, la frequenza di queste pulsazioni cessa il suo dondolio senza mutare mai più di tanto l’elettrodo di registrazione.
“Ordination Of Globetrotting Conscripts” ha nella smodata ricerca dell’assurdo razionale il suo punto di forza maggiore, il risultato seppur parzialmente assimilabile, è senz’altro entusiasmante.
Non ci resta che aspettare, con la proverbiale cupidigia del musicofilo, qualche nuova creatura aliena dal cilindro di quel mattacchione di Kevin Shea.
07/11/2007