Un incontro casuale, un gradevole colpo di fulmine, tutto qui il mio approccio con i Bulbul, band austriaca che, pur avendo già realizzato varie prove discografiche, con l’ultimo “Bulbul 6” supera i confini della propria patria, proponendo la propria musica a un pubblico più vasto grazie a un nuovo contratto discografico.
La destrutturazione del lessico rock è spesso efficace per chi cerca nuove strade nell’arido panorama contemporaneo, ma è altresì una strada pericolosa, che spesso conduce l’autore a un eccessivo autocompiacimento. La miscela di hardcore, psychedelia, funky, noise-rock,disco proposta dai Bulbul è invece fresca, vibrante, creativa.
Sesto album per il gruppo, primo per l’etichetta Exile On Mainstream, “Bulbul 6” è prodotto dal mago dell’elettronica Patrick Pulsinger, la sua regia insinua una molteplicità di soluzioni all’interno di un sound apparentemente normalizzato nei canoni del rock.
Si parte dai riff disco-rock alla Knack di “When Sun Comes Out” per finire al jazz-punk di “Das Stück”, dove compare il fantasma di John Coltrane nel riff metallico e stridente che richiama la sua “A Love Supreme”.
Oltre un'ora di musica caratterizzata da una varietà di stili che stuzzica l’ascolto. Le canzoni più immediate mescolano funk e rock come in “The Song's Name” e nell’eccellente “Daddy Was A Girl I Liked”, ma anche surf e punk in “Lack Of The Key”, fino a proporre un indiavolato mix di funky-metal e be-bop in “Where The Hell Is DJ Fett”.
Le pulsioni hardcore di “Dust In My Zimmer” contrastano le oscure” Steve Le Postla” e “Loss Mei Hen In Ruah”, mentre tracce di noise e post-rock caratterizzano il corpo centrale del disco.
La presenza di Carla Bozulich è perfetta per la sequenza più sperimentale dell'album, che partendo dalle elaborazioni psichedeliche di ”Shuguang” si concretizza nella intensa e languida “Shenzhou”.
Non è un disco immediato, “Bulbul 6”, anche se possiede la giusta dose di irruenza. Non è un disco complesso, pur se rinuncia alla classica struttura del rock. Spesso sembra di intravedere Captain Beefheart dietro alcune irriverenze sonore o gli Young Gods per la robusta alchimia tra rock ed elettronica. Tutto ciò rende l’album una ottima colonna sonora per una estate alternativa, pur se l’eccessivo ricorso a toni grevi e hard sminuisce a volte le soluzioni più originali del progetto.
(16/07/2008)