“I write the b-sides
That make a small portion of the world cry
I like the seaside
And singing songs that make you not wanna die”
Affrettatevi, signore e signori: il treno per il lato nascosto del meraviglioso mondo di Mr. E è in partenza, e stavolta il biglietto non è più solo per una piccola porzione del mondo.
L’anno scorso, le uniche note provenienti dal pianeta Eels sono state quelle della scalpitante “Royal Pain” inserita nella colonna sonora di “Shrek Terzo”. Ma questo non significa certo che E sia rimasto inattivo: per lui la musica ha l’urgenza di una missione da compiere, è sempre una questione di vita o di morte. Così, ecco arrivare in rapida successione un emozionante viaggio tra le memorie di famiglia per il documentario della BBC “Parallel Worlds, Parallel Lives”, dedicato agli studi di fisica quantistica del padre, un’autobiografia dal titolo programmatico “Things The Grandchildren Should Know”, presentata iperbolicamente da Pete Townshend come “uno dei migliori libri mai scritti da un artista contemporaneo”, e per finire l’uscita di due nuovi dischi: “Meet The Eels”, il primo greatest hits della band dopo dieci anni di carriera, e “Useless Trinkets”, una monumentale raccolta di ben 50 brani tra b-sides, cover e rarità varie. Uno sguardo all’indietro che sembra voler fissare un punto fermo dopo i fasti di “Blinking Lights And Other Revelations”, prima che gli Eels (già in procinto di ripartire per un nuovo tour) si cimentino con un altro capitolo della loro avventura.
Sono tutt’altro che gingilli inutili, quelli di “Useless Trinkets”: chi conosce gli Eels sa perfettamente che è proprio tra i brani esclusi dai dischi ufficiali che si nascondono alcuni dei tesori più preziosi di Mr. E: come potrebbe essere altrimenti, per un gruppo capace di intitolare una canzone “I Write The B-Sides”? Niente di più sbagliato, quindi, che liquidare questi due cd (più un dvd che raccoglie sei brani eseguiti a Lollapalooza nel 2006) come un semplice prodotto per fan di stretta osservanza: al contrario, si tratta di un’imperdibile occasione per ripercorre la storia dell'"Everettian rock", come E ha ribattezzato ironicamente la sua musica, giocando con il nome della scuola di pensiero nata dalle teorie del padre, Hugh Everett III.
Nell’universo parallelo di “Useless Trinkets” si ritrovano allora quelle miniature cristalline di chitarre acustiche capaci di lasciare a bocca aperta per la loro disarmante semplicità; si viene trascinati ancora una volta dalle irresistibili slabbrature indie-pop di prodigiosi giocattoli come “Rotten World Blues” e “Eyes Down”; si incontrano i tratti familiari delle ballate pianistiche dall’impianto più classicamente cantautorale, tra cui una “Manchester Girl” proveniente addirittura dal secondo degli album solisti pubblicati da E prima della nascita degli Eels, “Broken Toy Shop”.
Con un morso amaro, la solitudine ritorna sulle proprie cicatrici nella lettera d’amore di “Fucker”, una delle più perfette sintesi della poetica di Mr. E: “Looking for a simple life / But life ain’t simple”. È un sentirsi perennemente al posto sbagliato come in “Bad News”, è un sognare di poter sfuggire alle angosce della vita come in “Dog’s Life” (già utilizzata come sample ai tempi di “Electro-Shock Blues” per “Efil’s God”, che altro non è se non il titolo di “Dog’s Life” scritto al contrario…). A rendere più radicali le domande è l’esperienza che la realtà impone: dalla morte dei propri cari, su cui E torna nella gelida “Funeral Parlor”, all’evidenza della propria fragilità, sorpresa nella routine quotidiana di “After The Operation”. Ed ecco allora l’affacciarsi inatteso di una possibilità di risposta: non è una condanna, il succedersi apparentemente incomprensibile di dolore e felicità della vita, ma un’occasione misteriosa di compimento. Come scrive E nella sua autobiografia, celebrare la vita significa abbracciarla nei suoi alti e bassi: “attraversare le sofferenze della mia vita ha reso gli altri momenti qualcosa in cui potevo davvero andare in profondità e che potevo essere capace di stimare”.
Le versioni alternative dei vecchi brani raccontano di un mondo in cui “My Beloved Monster” può diventare una passeggiata intimista ed un attimo dopo una scorribanda piena di groove; un mondo in cui “Souljacker Part I” e “Dog Faced Boy” possono immergersi in un blues scuro ed inquietante ed in cui “I Like Birds” può travestirsi di uno sfrenato punk. I remix rendono più beckiane che mai hit “alternative” come “Susan’s House” e “Novocaine For The Soul”. Le cover rivelano la folle passione di E per Prince, da una distorta “If I Was Your Girlfriend” alla spumeggiante “I Could Never Take The Place Of Your Man” esclusa da “Live At Town Hall”. Il processo di appropriazione è tale da rendere quasi impossibile credere che quella “Open The Door” rubata ai Magnapop non appartenga alla penna di E: “Everything is good these days / But all of my friends are dying”. E poi ci sono le incursioni hollywoodiane degli Eels, dai brani scritti per la colonna sonora di “Levity” alla natalizia “Christmas Is Going To The Dogs” dedicata a “Il Grinch”.
Se gli inediti assoluti non riservano grandi sorprese (su tutte, le morbide “Useless Trinkets” e “Saw A UFO”), a risultare meno convincenti sono gli episodi più inclini alla stravaganza fine a sé stessa, dalla ringhiante e spiritata resa live di “I Put A Spell On You” di Screamin’ Jay Hawkins alla tamarra rilettura di “Get Ur Freak On” di Missy Elliott, inspiegabilmente finita addirittura tra i brani “maggiori” di “Meet The Eels”. Ma in una tale mole di musica, in fondo, sono solo peccati veniali.
“La vita è piena di imprevedibile bellezza e di strane sorprese”, riflette E. Un po' come le sue piccole confessioni di tre minuti, capaci di riaccendere nel cuore il desiderio di non morire. Inutili come una pagina di diario abbandonata in un cassetto. E proprio per questo ancora una volta indispensabili.
31/01/2008