Il risultato è un pop soffuso e virginale, chitarre labili ed evanescenti, piovaschi glitch, perturbazioni dub (o una sorta di reggae “gringo” come in “Sam”). Un soffice abbandono che acquista via via più senso man mano che l’ascolto sfuma i dettagli ed entra nell’ottica del quadro generale. Un sogno torpido e beato, che gocciola via dalle palpebre attraverso canzoni come “Doped”, “Dreamer” o “Little Things”. E con la chicca di “River”, tela dei maestri Eno e Cale, sontuosamente restaurata da allievi ipersensibili, dotati e rispettosi.
Un disco che s’addice alla stagione. Brumoso, tremulo, autunnale.
(24/11/2008)