Alexander Tucker

Portal

2008 (Atp Recordings)
doom-folk

Quarto lavoro sulla lunga distanza per Alexander Tucker dopo il self-titled d'esordio, "Old Fog" del 2005 e l'ottimo "Furrowed Brow", uscito appena due anni fa per Atp Recordings. Sempre per Atp esce oggi "Portal", che al pari dei suoi predecessori vede il musicista inglese – un passato speso a urlare in un paio di bande post-hardcore e un presente a fianco dei Jackie-O Motherfucker in sede live – impegnato a suonare tutto da solo: chitarre, basso, tape loop, elettronica a bassa fedeltà e una serie di altri ammennicoli elettro-acustici più o meno esoterici.

Disco perennemente in bilico tra ossequioso rispetto della tradizione – segnatamente certo folk progressivo d'oltremanica nonché la ballata west-coast di crosbyana memoria – e continue spinte a trascenderla, "Portal" è splendidamente aperto da "Poltergeists Grazing", che inaugura il discorso stabilendo le coordinate di riferimento per tutto il resto dell'opera: chitarra acustica a ricamare semplici quanto circolari melodie, memori tanto della Incredibile String Band quanto degli ultimi Six Organs Of Admittance, nastri in reverse a dipingere sfondi dalle tinte vagamente psichedeliche, chitarra elettrica in odore prog a sostenere robustamente il discorso, voce che rimanda immediatamente alle succitate atmosfere west-coastiane. Prendiamo allora per buona la descrizione che della musica del Nostro dà la stessa etichetta, parlando di calibrato incontro tra Terry Riley, David Crosby e doom-metal – da non dimenticare: Tucker ha pure collaborato con Stephen O' Malley in un episodio della serie "Latitudes" per Southern Records.

D'altra parte, se è vero che i tre elementi finiscono effettivamente col fondersi e l'amalgama risultante permea il lavoro nella sua interezza - tanto da rendere plausibile l'ascolto dello stesso come un'unica, lunga suite articolata in più movimenti - altrettanto inevitabile è constatare come nelle varie tracce emerga di volta in volta l'uno piuttosto che l'altro elemento. Così "Veins To The Sky" è una ballata cristallina, in cui voce e chitarra sono contrappuntate prima da lievissimi arrangiamenti d'archi poi da drones ultra-minimali, "Omnibaron" evoca più di tutte l'influenza, soprattutto nell'incedere, di certo metal esoterico e assieme testimonia della duttilità vocale del musicista, capace qui di deviare dal registro alto dei restanti episodi per salmodiare una sorta di rituale di doom-folk pagano.

All'opposto "Husks" pare uscita direttamente dai solchi dell'indimenticato "If I Could Only Remember My Name", "Bell Jars" avanza epica mandando a memoria le progressioni psichedeliche dei Bardo Pond di "Lapsed", "Energy for Dead Plants" è un piccolo gioiello di minimalismo degno del maestro Terry Riley mentre "Another World" è una ballata cupissima, figlia dello stesso spleen esistenziale che scorre tra le tracce dell'ultimo Steve Von Till.

La conclusiva, lunga (8 minuti abbondanti) "Here", al cui interno si coagulano magistralmente, un'ultima volta, tutte le disparate influenze di cui sopra, chiude infine il cerchio, lasciandoci con un lavoro quadratissimo pur nella sua spontaneità – laddove il precedente "Furrowed Brow" indulgeva assai più in una dimensione avant e improvvisativa – capace di restituire una visione purissima della folk music e assieme di prospettarne un possibile superamento.

14/07/2008

Tracklist

  1. Poltergeists Grazing
  2. Veins to the Sky
  3. Omnibaron
  4. Husks
  5. Bell Jars
  6. Energy for Dead Plants
  7. Another World
  8. Here

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