Lo sguardo fermo e intransigente di Mercy & C. è ancora velato dalla nostalgia per quella "arcadia italiana" di inizio secolo, progressivamente corrotta in una sorta di cupio dissolvi collettivo, nella corsa cieca verso un progresso illusorio ed egoista. E nella sua "notte della Repubblica" brillano i rimandi ad alcune grandi voci del dissenso, da Pasolini a Malaparte, da Germi a Gaber. Certo, nell'armamentario concettuale degli Ianva non mancano zone d'ombra, forzature, ideologismi controversi e discutibili. Ma resta la fierezza di una narrazione passionale e fiammeggiante, decisamente poco incline alle mode (anche politiche) contemporanee.
Una profezia fosca e severa di Pier Paolo Pasolini, affidata alla voce narrante di Enrico Silvestrin (su un tappeto marziale di fiati e tamburi), fa da incipit a dodici stazioni del calvario italico, scandite dai suoni caratteristici della band genovese: fisarmoniche, trombe, violini, orchestre d'antan. Suoni sempre più affondati nelle radici della musica popolare italiana, tra suggestioni epiche alla Morricone e palesi omaggi al cantautorato genovese (De André su tutti), ma sempre sensibili alla malia melodrammatica di crooner internazionali come Scott Walker e Marc Almond. E si accentua l'evoluzione verso un formato più arioso, quasi "operistico", una ballata per orchestra che rinuncia quasi del tutto al passo marziale neofolk degli esordi.
Ecco allora susseguirsi il caos post-8 settembre 1943 ("Dov'eri tu quel giorno?") annunciato da cupi squilli di trombe, il bombardamento di Genova che devasta la vecchia "Galleria Delle Grazie" (con il cammeo di Franca Lai, monumento della canzone popolare genovese), l'abisso della guerra civile (l'avvolgente crescendo per chitarra e tromba di "Negli occhi di un ribelle" e i solenni flashback di "La stagione di Caino"), l'abbattimento dei vecchi simboli, con l'esecuzione dell'attrice "Luisa Ferida" (un classico cabaret noir di Stefania D'Alterio, sorretto da arrangiamenti sinfonici), il dramma delle foibe (la danza lugubre di "Bora").
Quindi, con la fine del miraggio del boom, i nuovi spettri: il caso Montesi, primo di un'infinita serie di scandali insabbiati ("In compagnia dei lupi", con D'Alterio ancora sul proscenio su cadenze beffarde che riecheggiano il De André di "Un giudice"), la cementificazione e la prima bomba (l'incalzante strumentale "Cemento armato", quasi un motivo da "poliziottesco" dei 70), gli anni di piombo visti attraverso gli occhi di una "Pasionaria" (altro bel tema da soundtrack, con tanto di chitarre western e fischio struggente alla Morricone), e l'assassinio di Pasolini ("Piazza dei Cinquecento", con Duke Montana nei panni del "Ragazzo di Vita" in un breve intervento). E poi ancora "L'estate dei silenzi", quella del 1980, delle stragi di Ustica e di Bologna (nuovo recitato di Mercy sulla chitarra arpeggiata), e infine "L'ultimo atto", la normalizzazione degli anni 80-90, in un'invettiva, stavolta più scontata, sulla disintegrazione morale del Paese, che porta dritta alle miserie politiche dei nostri giorni.
Svetta un gusto cinematografico per il dettaglio (la sirena d'allarme che squarcia il vinile gracchiante di "Galleria delle Grazie", le battute in presa diretta di "In compagnia dei lupi", l'avvicendarsi dei discorsi storici su "La stagione di Caino"), unito a un'urgenza espressiva che, paradossalmente, trova proprio nella pomposità la sua più autentica ragion d'essere. Il fascino degli Ianva è proprio nell'enfasi cupa e seriosa, in quella prorompente potenza lirica che scampa miracolosamente all'ironia involontaria di tanti altri gruppi limitrofi.
Se "Disobbedisco!" era un colpo di maglio in faccia all'indie tricolore, "Italia: ultimo atto" è una lenta ma inesorabile discesa negli inferi, che conferma l'unicità della band genovese nel panorama nostrano.
Da segnalare anche il ricco booklet, con copertina rigida, in cui ogni brano è corredato da illustrazioni e materiale d'epoca.
(06/07/2009)