La sigla MGT è l’acronimo dei cognomi di tre virtuosi della chitarra.
Wolfgang Muthspiel è uno dei più importanti artisti austriaci delle sei corde, 34 anni, un solido passato di studi classici e jazz, vincitore nel 2003 dell’European Jazz Prize, proprietario della label Material Records, attraverso la quale cerca di avviare la carriera di molti giovani musicisti e per la quale è stato prodotto “From A Dream”.
Slava Grigoryan è un chitarrista classico australiano, figlio di due violinisti professionisti, nonostante la giovane età (classe 1976) si è già aggiudicato una sfilza di interessanti premi internazionali, fra i quali il Tokyo International Classical Guitar Competition, il Young Australian of the Year (nel 1998), il Mo Award come miglior strumentista (nel 2001) e ben due volte l’ARIA (in pratica il Grammy australiano) come Best Classical Album nel 2002 e nel 2003.
Ralph Towner è invece un chitarrista acustico e polistrumentista americano, classe 1940, titolare di oltre venti album a proprio nome, celebrato protagonista della scena jazz classica americana degli ultimi trent’anni con importanti collaborazioni al suo attivo.
La sigla comune esiste dal 2005, quando realizzarono un tour di discreto successo.
Dall’unione di tre artisti provenienti da tre diversi continenti, con un background importante e variegato, non poteva che uscire un prodotto di grande qualità con dentro influenze di diversa natura, ma riconducibili a un filo conduttore saldamente incentrato sulla più classica fusion acustica.
Le strutture sono semplici e gli intarsi chitarristici sono sempre finalizzati a esplorare le potenzialità delle sei (o dodici) corde.
Sei tracce sono state composte da Towner, tre da Muthspiel, completa la tracklist la cover di "Nardis", un classico di Miles Davis.
Le tre chitarre in perfetta solitudine disegnano paesaggi musicali costruiti con grande maestria e tecnica, permeati da un velo malinconico solo a tratti squarciato da momenti più gioiosi.
Il tutto con le ovvie limitazioni derivanti dall’assenza di altri strumenti a supporto delle pur valide composizioni.
Il problema fondamentale è: chi ha oggi la voglia e il tempo di fermarsi per una cinquantina di minuti ad ascoltare tre virtuosi nei propri onanistici voli pindarici senza annoiarsi o sbadigliare dopo le prime tre-quattro canzoni?
Forse soltanto gli inguaribili adoratori dell’oggetto chitarra.
Va bene la tecnica sopraffina e cristallina, ma oggi per evitare di essere ridondanti o già sentiti, per essere considerati davvero degli innovatori, occorre volare verso lidi inesplorati, magari mettendo al servizio della trasversalità il proprio talento. Non chiudersi in un classicismo oramai trito e ritrito, ma cercare le contaminazioni con generi musicali diversi dal proprio, magari collaborando con altri artisti di estrazione completamente diversa.
Il voto non può che essere la media fra il 7,5 per le capacità tecniche espresse e il 3,5 per l’incapacità (almeno in questo caso) di sviluppare qualcosa che vada oltre un mero e comunque eccelso esercizio di stile.
04/03/2009