Energica, sexy e rossa fiammante. Non stiamo parlando di una nuova auto prodotta negli stabilimenti di Maranello, ma dell’ultima incarnazione di Neko Case, l’amazzone più amata d’America. Come volevasi da copertina: lei inginocchiata sul cofano di una Mercury Cougar sul punto di affrontare, spada in resta, i suoi detrattori (o di difendere i suoi ammiratori, quien sabe?).
L’opera solista numero sei della virginiana, canadese d’adozione, segna un piccola sterzata stilistica rispetto al passato recente: un suono più tradizionale e meno alternativo, più roots e meno indie, un’etica votata al recupero di un equilibrio naturale come antidoto al parossismo dei grandi conglomerati musicali urbani. Non a caso, fedele a suo modo alla consueta prassi del do-it-yourself che la contraddistingue orgogliosamente da inizio carriera, Neko ha registrato gran parte del materiale nel granaio della sua fattoria nel Vermont e questa schiettezza ariosa e bucolica s’è riversata in buona parte anche nelle modalità compositive e nella scelta degli arrangiamenti.
Con piano, archi e chitarre acustiche in evidenza e con il contributo di guest affezionati, fra cui M. Ward, Garth Hudson (storico organista della Band) e vari membri di Calexico, Giant Sand, Los Lobos e New Pornographers, il disco si snoda florido, sostenuto e lussureggiante fra country-(power)pop a briglia sciolta come “People Got A Lot Of Nerve” e “This Tornado Loves You”, l’epica marziale e raffinata di “Polar Nettles”, il picking folk crespo, insistito e i riverberi onirici di “Vengeance Is Sleeping”, le “Calexico-oriented” “Middle Cyclone” e “Fever”, il country-rock elettrico di “I’m An Animal” e “Red Tide”. Poi altre rinomate specialità coltivate nei terreni ubertosi della “Case's Farm”: due cover brillanti come la versione filarmonico-campagnola di “Never Turn Your Back On Mother Earth” degli Sparks (riuscitissima) e la piccola torch-song da saloon di “Don’t Forget Me” (di Harry Nilsson); riprese dal country-noir più cupo e fumigante di quello che rimane il suo cavallo di battaglia “Lullaby For Furnaces” (2000) come “Prison Girls” e “The Pharoahs” (marchi di fabbrica: l’atmosfera sospesa alla Badalamenti, i twang lunari e la voce echeggiante).
Un pezzo forse minore nella galleria discografica della Case, questo “Middle Cyclone”, ma nell'insieme riscattato da una scrittura sufficientemente varia e senza cedimenti, dal suo cavalleresco ardore da virago del nuovo country e da una voce fra le più belle che questo genere musicale abbia mai annoverato.
02/03/2009