Odawas

The Blue Depths

2009 (Jagjaguwar)
pop, ambient, slo-core
6.5

Il delizioso "Raven And The White Night", ampiamente pubblicizzato a tempo debito su queste pagine, ha fatto da cassa di risonanza per gli Odawas, misconosciuto duo psych revival proveniente dall'Indiana. Le prime parole per presentare il loro nuovo "The Blue Depths" sono dedicate proprio a chi ha avuto modo di conoscere - e amare - il suo predecessore: rifuggete ogni raffronto. Niente può essere più fuorviante per l'ascoltatore che aspettarsi qualcosa di simile o comunque di indirizzato verso quelle coordinate. La fantasia, l'acerbità, l'effervescenza di quello si sono tramutate nella classe, l'eleganza, la consapevolezza di questo.

Gli Odawas di "The Blue Depths" hanno infatti cessato di svariare lungo l'intero arco storico musicale e di sfoggiare un armamentario disparato (colonne sonore, Pink Floyd, folk zeppeliniano, ballad ricche di pathos), virando verso la creazione di un mastice coeso in cui - sotto lenzuolate di synth - sono tessute melodie romantiche e poco immediate, classiche ed eighties. Archi, fiati, chitarre ed elettronica suonano compatte nel colloso impasto che, lasciando da parte il rock e molto della psichedelia, tende più verso lo slo-core e l'ambient, pur mantendendo più che mai ferma la scelta della forma-canzone. Un disco ossimoro, di emozioni algide, che perde in vitalismo quel che guadagna in raffinatezza.

Il folk arcaico di "Our Gentle Life Together" rimanda a un Divine Comedy più distaccato e controllato; "Swan Song Of The Humpback Angler" è una languida elegia su batteria elettronica; le tastiere di "The Sound Of Lies" stemperano i toni maggiormente patetici. E' questo il corpus dell'album, che presenta brani strutturalmente perfetti, tanto carezzevoli quanto estenuati ("Moonlight/Twilight"), su cui la voce ricalca troppo, sfiorando i momenti più lamentosi di Neil Young e Thom Yorke.
L'indubbia qualità degli Odawas emerge più chiara quando la band suona più libera, sciogliendo le briglie. E' il caso del singolo, "Harmless Lover's Discourse", in cui il bel motivo portante viene lanciato in un ritornello fatto di squittii di vocalizzi e tocchi di piano. O ancora quello di "Boy In The Yard", in cui la mielosa - e ottima - melodia viene messa a cozzare contro un suono più ispido e ritmato.

La felicità della scrittura fa di "The Blue Depths" un buon disco che pure non riesce a superare del tutto i limiti dell'impianto sonoro nonché quelli dovuti a un'eccessiva mordibezza interpretativa. Gradito agli amanti delle sonorità più ovattate (e ai puristi del classicismo e del garbo melodico) e inviso a quanti propendono per un'emozionalità più bruciante (e ai fautori della cosiddetta "urgenza comunicativa"), "The Blue Depths" pende - ad avviso dello scrivente - dalla parte del positivo e ci consegna, in ogni caso, una band più matura e sfaccettata di quanto poteva pensarsi prima di oggi.

16/02/2009

Tracklist

  1. The Case of the Great Irish Elk
  2. Swan Song of the Humpback Angler
  3. Our Gentle Life Together
  4. The Sound of Lies
  5. Secrets of the Fall
  6. Moonlight/Twilight
  7. Harmless Lover's Discourse
  8. Boy in the Yard

Odawas sul web