Se ve lo trovaste di fronte, pensereste al solito nerd di turno: occhialuto, alto, magro, capelli rossi spettinati e andatura incerta. Invece Erlend Øye, mente dei The Whitest Boy Alive, ha dietro di sé una carriera ricca e ormai piuttosto affermata. Conosciuto principalmente come spalla di Eirik Glambek Bøe nel folk-pop dal sapore cristallino dei Kings Of Convenience, Erlend si è dedicato con successo sia alla carriera solista che a quella di produzione a più mani. Partì nel lontano 2002 con qualche 12", poi nel 2003 arrivo "Unrest" il cui successo gli permise di bissare le uscite sulla lunga distanza con un "Dj-Kicks" e una miriade di remix ("Eple" e "Sparks" vi dicono nulla?).
In mezzo, i The Whitest Boy Alive. Il gruppo si formò nel 2002 come progetto dance-elettronico senza una line-up definita, che si consoliderà poi solamente con la realizzazione del primo album, "Dreams", pubblicato nel 2006 dalla Service Records. Il successo del disco, trainato dall'effervescente singolo "Golden Cage", fu tale da permettere al gruppo - per inciso ricordiamo i membri: Erlend Øye voce e chitarra, Marcin Oz al basso, Sebastian Maschat alla batteria e Daniel Nentwig ai rhodes - di tenere moltissimi concerti in tutto il mondo. A tre anni di distanza da "Dreams", "Rules" rispolvera la band proponendola in una chiave piuttosto simile a quella dell'esordio, descrivendo, nelle sue undici tracce, un mondo in perenne bilico tra ricerca digitale e semplicità compositiva.
I synth e le chitarre fanno da padroni, ma la loro è un'azione lieve e quasi impercettibile, che lascia esterrefatti nella sua semplciità. C'è però da stare attenti a valutare fino a che punto questo sia un punto a favore, o se rischi, alla lunga, di diventare un boomerang. Con gli ascolti, a prevalere è infatti l'impressione che le tracce si uniformino tutte su un livello compositivo buono, in alcuni casi anche ottimo, ma che si assestino su un piano eccessivamente uniforme, che alla lunga potrebbe apparire noioso. Per dirla in breve: non ci sono quei guizzi che lo rendano imprevedibile e le melodie si assomigliano un po' tutte, finendo forse pure un po' per stancare. Le tracce meritevoli d'ascolto non mancano (la deliziosa chiusura di "Dead End", il sornione avanzare di "Intentions", le dolci venature sincopate di "High On The Hills"), ma il tutto tende a risultare troppo piatto, sfociando troppo spesso in una sensazione di già sentito.
Se dovessimo dare un voto a "Dreams" sarebbe forse la media tra un bel sette, se impiegato come divertissement da sottofondo durante un aperitivo, e un cinque per chi si avventurasse in un ascolto impegnato.
"Coraggio Erlend riprendi la chitarra: i falò estivi sulla spiaggia si avvicinano e puoi preparare il tuo riscatto".
02/02/2009