Dangers

Giunti al secondo disco, i californiani Dangers scelgono un approccio meno incompromissorio, lasciando che la rabbia diventi un mezzo piuttosto che il fine ultimo della loro musica. Una rabbia che, questa volta, è tutta a disposizione dell’ascoltatore, nel tentativo di renderlo partecipe di un metalcore che vuole mostrarsi anche piuttosto rifinito, relegando la furia dell’esecuzione in secondo piano.

“Stay At Home Mom” è tutta un programma, allora. Ma anche la partenza a razzo e i rallentamenti imperiosi di “I'll Clap When I'm Impressed”, e le carrellate funamboliche di “Save By The Buoyancy of Citrus” e di “The El Segundo Blue Butterfly Habitat Preserve”. Poi, arriva “Check, Please” e la sensazione che Al Brown (voce), Rollie (chitarra), Tim (basso) e Adam (batteria) abbiano davvero qualcosa da dire è forte.

Ma sono, come dire?, ancora in quella fase di transizione in cui sia la foga delle liriche che la tensione emozionale delle loro rocciosissime strutture appaiono, per larghi tratti, prive di una direzione precisa, di un vero disegno complessivo, e questo anche se il dinamismo interno del loro sound ha guadagnato sicuramente in consistenza.

Lo confermano, per dire, numeri come “Opposable”, “Cure for Cancer”, i movimenti ariosi di “Cure For Aids”, le truci fattezze di “Under The Affluence“ (che mostra una chiara derivazione dal punk primigenio), l’intro strumentale di “Teenage Porno Hunter” e l’ugola sull’orlo del precipizio di “Bottom Of The 9th Ward”. Direttamente alla fonte del vecchio, glorioso hardcore si abbeverano, invece, le staffilate di “Goliath”, “What Goes Up” e “No Vonneguts, No Glory“.

Gira e rigira, dunque, “Messy, Isn't It?” mostra sicuramente qualche novità intrigante per i Dangers, ma sarà il prossimo disco a dirci davvero se la band può ambire a qualche traguardo importante.
Nel frattempo, gli amanti del genere si facciano sotto senza problemi.

19/01/2010