Il tutto, non bastasse, data la combinazione degli elementi citati, riletto con un'identità fiera e assolutamente originale, cosa più che rara di questi tempi in cui l'identità progressive è ormai relegata a cliché antichi, discutibilissimi, quanto distanti da un contesto socio-culturale autenticamente contemporaneo. Già la formazione è di per sé quanto di più bizzarro e interessante ci sia stato dato da ascoltare e accogliere ad oggi: sei fiatisti (in qualche caso, come anticipato, elettrificati) e una batteria. Assenti basso (il cui ruolo è spesso affidato a una tuba), chitarra elettrica (qui appannaggio di un sax baritono, of course, elettrificato), tastiere e voci.
Per quanto la musica si riveli da subito nella sua forza espressiva, è con "Partie V" e "Partie XVI" (eccezionale il contributo degli aerofoni) che le composizioni - e in questo caso la definizione è a dir poco appropriata - di Julian Julian prendono quota e si rivelano nella loro essenza più autentica, carica di elementi di interesse. Intervalli inusuali ma mai sgradevoli; capacità di creare atmosfere suggestive, imponenti talvolta quanto sfuggenti, senza essere trionfali e fini a se stesse; organizzazione formale delle composizioni compatta e mai prevedibile.
Al tutto va aggiunta la capacità di gestire il colore musicale in maniera davvero affascinante, da pittori e architetti al contempo. Da segnalare, come cameo, il solo di sax alto dello stesso Julien in "Sans-Papiers", sostenuta da un ostinato di tuba e sax baritono che rimane nella mente a lungo e la litania funebre e ritmata della conclusiva "Clementine".
Altro punto a favore: il dono della sintesi. Questa release dura meno di trenta minuti - cosa che, a fronte della natura della musica, risulta solo un pregio, tale da non portare a definire il dischetto un Ep ma un album completo, così come nella tradizione più attuale (ricordo diversi - acclamati - album italiani degli ultimi anni di dodici-venti minuti presentati come dischi compiuti, a testimonianza che ormai, finalmente, non è la durata ma il contenuto di un lavoro a giustificarne il valore).
L'unico neo di "Suranné" è invece la scarsa profondità nel mixaggio e nel mastering, ma né questo né l'artwork amatoriale di certo scoraggeranno chi deciderà di avvicinarsi a un progetto così valido.
Un disco probabilmente non "bello" nell'accezione comune del termine (è un po' come mettere sullo stesso piano un capolavoro del cinema indipendente e un film hollywoodiano), ma che rimane nella mente assai a lungo scavando un posto tutto suo, come solo la creazione autentica o ARTE, termine odiosamente abusato al punto tale che ormai se ne sono perse le coordinate, è capace di fare ed essere. Uno dei dischi più ed emozionanti e di maggiore interesse realizzati fin qui giuntoci, pur con ritardo, nel 2012.
Voto? 7,5 approssimato a 8 sulla base di una musica che di giorno in giorno si ricava uno spazio nella mente e in quell'astrusa cosa che chiamiamo... "anima", sempre più grande e vero.
(09/07/2012)