"Returnal" è un disco pensato, e levigato fino all'inverosimile. Talmente pensato e levigato da far impallidire la genuina amatorialità delle prime prove, che tuttavia restituivano un'immagine sfocata nonché di affascinante precarietà della musica di Oneohtrix Point Never. D'altra parte nell'arco di appena un paio di stagioni la creatura di Daniel Lopatin ha saputo costruire intorno a sé (o gli altri gli hanno costruito intorno?) un hype di non poco conto, se consideriamo il baccano sollevato dal trend ipnagogico appena l'anno passato, di cui Daniel Lopatin è stato probabilmente il deus ex machina principale. Hype in continuo crescendo che ha investito le alte sfere dell'intellighenzia alternativa, se "Returnal" si trova a uscire nientemeno su Editions Mego, con la partecipazione di James Plotkin, che ne cura il mastering, e di Stephen O'Malley che ne griffa l'artwork.
Queste otto tracce in cui ci si perde dentro fanno sfoggio di un suono maturo, frutto della sedimentazione di immaginari interiorizzati, elaborati e rigurgitati in un cortocircuito di multireferenzialità non facilmente identificabili. Il cono d'ombra che ne risulta investe molte cose e molti suoni: i sogni wilsoniani di Fennesz, il si-percepisce-non-si-percepisce hauntologico, gli spettri delle impalcature cyberpunk, la Windham Hill, e arriva finanche a sfiorare una pericolosa e forse naturale fascinazione per le suadenti grossolanità della Berlin School anni 90 (Redshift, AirSculpture, Spyra ecc.).
Certo, il gioco di specchi appare evidente, il punto però è che appena se ne coglie un aspetto, una possibile somiglianza, un'influenza più o meno diretta, questa sembra sfuggire, dissolversi nelle strutture amorfe del suono, nelle sue linearità solo apparenti. Ossia, al di là del discorso ipnagogico, qui ormai superato, che musica fa Lopatin? Come la si potrebbe etichettare? Pensateci, la risposta è più difficile di quel che potrebbe sembrare.
Perché pur lavorando di sintesi, il suono di Oneohtrix Point Never ha qui raggiunto uno stato e di incontrovertibile riconoscibilità e, sì, di originalità - scomodiamola ogni tanto 'sta parola. Più degli altri, Daniel Lopatin sta (inconsciamente?) codificando un linguaggio rinnovato, che certo prende abbrivio dal preesistente, ma che al contempo apre squarci inediti verso una prospettiva di musica iper-semica: una musica che, pur nella sua apparente carica estetizzante, torni a connotare significati, a prendere spunto da contesti, a farsi carico di immaginari collettivi condivisi. Proprio il contrario dell'artefazione (e del rifiuto del collettivo) eighties da cui la musica di Oneohtrix Point Never indiscutibilmente prende spunto.
Vedremo se si tratterà di un'intuizione isolata o di una traiettoria duratura.
03/06/2010