Thus: Owls

Cardiac Malformation

2010 (Almost Musique)
avant-pop

Fosse una pittrice, la tavolozza di Erika Angell sarebbe assai ricca di colori. Accanto ai primari rosso, blu e giallo, vi comparirebbero tonalità di ogni sorta, sfumature mai viste. Fosse una pittrice, Erika Angell dipingerebbe affreschi barocchi carichi di forme sensuali, avvolte dal fascino del mistero, contornate dall'oscurità o, a tratti, persino cariche di un alone di misticismo. Ecco: mistica sensualità. Forse è proprio questa l'espressione più adatta a descrivere l'aria che si respira in questo "Cardiac Malformation", album di debutto dei Thus: Owls, un turbine di suoni liquidi e avvolgenti che si sovrappongono a sfrenate danze pagane, consumate intorno a focolari in foreste ancestrali, con strane e innominabili creature acquattate nell'oscurità a osservare la scena.

 

«Somiglia a Bjork», diranno i più distratti. Certo, è vero: nella vocalità limpida e nei gorgheggi dilatati della Angell riecheggia indubbiamente il fantasma dell'artista islandese. Se è per questo, in alcuni passaggi pare di scorgere anche echi di Múm, Sigur Rós, My Brightest Diamond, Wildbirds & Peacedrums, Nick Cave, PJ Harvey, Kate Bush, Amanda Palmer, Silver Mt. Zion e altri ancora. Tuttavia, alla fine i Thus: Owls non assomigliano a nessuno. Proprio perché somigliano a tutti, sono pienamente se stessi. Componente, assieme a Martin Öhman, del duo di elettronica free-improv The Moth, attiva nel progetto Josef och Erika (assieme a Josef Kallerdah) e in passato in tour con gente del calibro di Loney Dear e Patrick Watson, Erika Angell, leader indiscussa della band, è troppo capace, troppo intelligente, troppo talentuosa per cadere nella trappola dell'imitazione. E, soprattutto, per lasciarsi sopraffare dal Caos della Creazione. Perché "Cardiac Malformation" si nutre sì di spunti diversissimi, fagocitando una moltitudine di generi distinti, ma senza mai cedere all'anarchia. Questo non significa che l'album sia un freddo esercizio di geometria compositiva: al contrario, è caldo, avvolgente, sinuoso, struggente - caleidoscopico, insomma, anche nelle emozioni. La Angell, dunque, è riuscita a raggiungere un miracoloso equilibrio tra struttura ed emozione, tra progetto e istinto. Ed è un mezzo miracolo, una cosa che riesce a pochi, ai più dotati.

 

I suoi compagni di avventure in questa sorta di viaggio "attraverso lo specchio" (per dirla à la Carroll) sono musicisti altrettanto abili - e non poteva essere altrimenti. In primis, Cecilia Persson, cantante e pianista dei Paavo (altra mirabile creatura "di sintesi", contesa tra pulsioni free-improv jazz e progressive), Martin Höper (che ha suonato con Koop, Ola Hultgren, Loney Dear e tanti altri) e Simon Angell, apprezzato per la sua attività al fianco del songwriter canadese Patrick Watson.

Una compagine ben assortita, insomma, capace di far scendere a patti lente e sospese progressioni melodiche con esplosioni corali cariche di pathos da lamento funebre ("Eagles Coming In"), di lanciarsi in sfrenate danze tribali condite da polifonie sospirose e chitarre indie ("Climbing The Fields of Norway"), di intonare cacofonici e martellanti jazz da incubo post-industriale ("A Volcano In My Chest") o, per contro, di cesellare delicati carillon folky, dal fascino quasi fiabesco ("The Sun Is Burning My Skin").

 

Il gusto per il barocco, la de-strutturazione sonora, i giochi di armonie, i cambi di mood: la musica dei Thus: Owls è un paesaggio sempre cangiante, ma disorientante solo per quelli che, armati di bussola e carta geografica, pretendessero di orientarvisi, di "capire". Qui non c'è niente da afferrare: occorre lasciarsi trasportare. Altrimenti, di fronte alla (apparente) schizofrenia di "Let Your Blood Run", con la sua continua alternanza di chiari (la melodia intonata dalla Angell) e scuri (i passaggi strumentali, che intrecciano sproloqui di pianoforte-thrilling e chitarre sinistre, iperdistorte ed epilettiche), ci sarebbe sul serio da perdere la testa.

Anche quando le cose sembrano all'apparenza più limpide (la jazzata "Sometimes"), c'è sempre qualche piccolo dettaglio che interviene a increspare la superficie di quello che, fino a qualche istante prima, sembrava un placido specchio d'acqua. Le ballate, ammantate di mistero, sfoggiano andamenti irregolari, coloriture armoniche imprevedibili, crescendo ipnotici e maestosi al tempo stesso ("When She Arrived", "My Thoughts Ain't Lovely"), o sfoderano irresistibili pulsioni operistiche, cori celestiali e commoventi aneliti all'infinito ("The Atlantic").

 

Ovvio, dunque, che "Cardiac Malformation" non sia un disco per tutti. È un album diverso da quelli che si ascoltano abitualmente, anomalo: il titolo, da questo punto di vista, è emblematico nel suo alludere a una "malformazione", a una irriducibile e congenita "diversità". E dunque chi sia abituato ai canonici tre minuti-tre delle popsong odierne (quelle basate sul giro di do e col ritornello che, quasi consolante nella sua prevedibilità, scatta dopo trenta secondi dall'attacco), stiano alla larga da questo disco e dai Thus: Owls: c'è il rischio che, immergendosi in quel sottobosco ricco di suoni che è la loro musica, ne rimangano traumatizzati. Tutti gli altri, invece, si addentrino pure nella "selva oscura" che è il regno dei quattro "Gufi": non vorranno più uscirne.

 

12/12/2010

Tracklist

  1. Yellow Desert
  2. Eagles Coming In
  3. Climbing The Felds Of Norway
  4. Sometimes
  5. The Sun Is Burning Our Skin
  6. When She Arrived
  7. Let Your Blood Run
  8. My Thoughts Ain't Lovely
  9. A Volcano In My Chest
  10. You Arose To The Gods
  11. The Atlantic

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