Eppure battono ritmi hip hop e sferragliamenti post-industriali. Ma anche voci, o meglio echi di voci, lamenti deturpati. Forse di defunti. O di passati possibili mai accaduti. Il senso di disorientamento traduce la scommessa hauntologica di Pat Maher, qui ancor più esplicita e citazionista rispetto alle decostruzioni Wagneriane di Indignant Senility. Allora il suono mostruoso e intriso di polvere, legno, pece e metallo diviene l'ennesima cartina di tornasole della sua capacità di cortocircuitare i percorsi percettivi tra il qui-e-ora e situazioni che sono tali solo nei tanti possibili immaginari costruiti dai media.
Maher ci riesce rallentando e allungando il suono attraverso le tecniche di pitching e chopping di Dj Screw. Vi inserisce disturbi e granulosità, mostra punti di vista panottici e l'attimo dopo ravvicinati, si dirige nelle periferie rimpiangendo i centri. Crea in definitiva un dubstep allucinato, psichedelico, più alieno, sfuggente e decontestualizzato. Mostra ancora una volta che la musica è fatta principalmente di (e per evocare) suggestioni.
(04/12/2010)