Abigail Washburn

City Of Refuge

2011 (Rounder)
alt-country

Se ci si dovesse basare sulle premesse di quest'ultimo disco di Abigail Washburn, "City Of Refuge", ce ne sarebbe abbastanza per far salire le aspettative a un acme irraggiungibile. Questa è un po' la sfortuna del disco: un po' per la storia della Washburn, così ricca di contaminazioni esotiche (in particolare una fattiva relazione con la cultura della Cina, dove ha trascorso anche diversi anni) e di importanti exploit musicali, fin dagli inizi con gli Uncle Earl. Il resto lo fanno in primo luogo la produzione di Tucker Martine (Decemberists, Spoon, Sufjan Stevens) e poi le presenze ingombranti di musicisti quali Bill Frisell, Carl Broemel dei My Morning Jacket, Chris Funk dei Decemberists e quella di un ensemble d'archi mongolo, insieme al cameo di Wu Zei, maestro di guzheng.

Il risultato di "City Of Refuge" è, invece, un'opera blanda dalle sensazioni ecumeniche e globaliste (la Washburn ne parla dicendo: "Ogni canzone di questo disco si allaccia a un senso di appartenenza universale") traghettate da mezzi musicali prevedibili, la costruzione delle cui canzoni e la scarsa ispirazione melodica vanificano la potenziale originalità degli arrangiamenti e dei contenuti.
Già la title track, in apertura, mette in mostra un vuoto trionfalismo da cerimonia olimpica (lei è stata in effetti invitata a Pechino 2008): facili, tambureggianti sentimenti di condivisione, a suggerire indistinti balli di gruppo, in una passeggera illusione.
Giusto qualche eco orientale, ma non di più, davvero troppo poco per un lavoro che vorrebbe essere sincretico ma che pare invece una cartolina hollywoodiana, nel senso deteriore del termine (come una pagoda immersa nelle foreste degli Appalachi, insomma). Il pezzo più ispirato si palesa così nella sinuosità à la Fleetwood Mac di "Chains", b-side di "Rumours". Ambizioni di un pop "maturo" confermate in "Burn Thru", in cui a prendere il sopravvento è però una sensazione di stantio.

Si tratta di uno dei pochi guizzi di un disco ricco di abbellimenti forbiti (la fresca "Ballad Of Treason"), ma anche di un tradizionalismo dai piedi di piombo, imperniato sulla presenza più o meno costante del banjo, suonato dalla Washburn ("Last Train", "Divine Bell", solo per fare degli esempi). Qualcosa di quasi sorprendente, considerato l'interesse della cantautrice dell'Illinois per la cultura dell'Estremo Oriente e la sua ormai vasta esperienza, sia in senso strettamente musicale che, più estesamente, mondano.


10/01/2011

Tracklist

1. Prelude
2. City Of Refuge
3. Bring Me My Queen
4. Chains
5. Ballad Of Treason
6. Last Train
7. Burn Thru
8. Corner Girl
9. Dreams Of Nectar
10. Divine Bell
11. Bright Morning Stars

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