I apologize
My life's become an island
And I'm feelin' under the gun.
da "Under The Gun"
La storia della genesi di questo nuovo progetto di Ross Flournoy è ormai nota:
a un anno dallo scioglimento del suo gruppo, i
Broken West, si ritira nella
casa dell'amico e collaboratore Adam Vine, in pieno blocco creativo, senza
auto, in compagnia della fauna suburbana circostante. Fino a quando non
risponde all'appello di
Carrie Brownstein,
blogger
per NPR, che chiede agli utenti del sito di comporre, in una competizione vera
e propria, una canzone nello spazio di un weekend. Ne esce così "Under
The Gun", che Fournoy dedica proprio a questo suo ultimo, forzato
songwriting, che ha però il risultato di spingerlo a
rompere questo isolamento auto-imposto e lanciarsi in un nuovo progetto, Apex
Manor - che è poi il nome della casa in cui è risieduto nel corso di quest'anno
di "magiche bevute".
Come questo fugace pensiero, tratto dalle impressioni di un'attività solo da poco ripresa, un po' arrugginite ma
possedute dal sollievo di uno spirito autorale di nuovo tracimante, si sia
espanso in un disco vero e proprio, si vedrà: intanto il Nostro è approdato
alla Merge, etichetta di prestigio (
Destroyer,
Caribou, solo per fare alcuni
dei nomi più in voga nel
roster di
quest'ultima).
Il senso di una ritrovata capacità di esprimersi si riflette così
nell'esuberante contenuto di "The Year Of Magical Drinking", con la già citata
"Under The Gun" e "Teenage Blood" a farla da padrone. Sicuramente sarà piaciuta
alla Brownstein l'aura di tagliente sarcasmo, di divertito
(anti)intellettualismo del disco, così come il contenuto esplicito dei testi.
Una buona prova d'autore che non riecheggia del tutto, però, nelle canzoni,
dagli arrangiamenti spesso rutilanti e ben assortiti, ma con evidenti limiti
melodici.
Dagli effetti
alt-folk di "Holy
Roller" alle sinuosità
black di "Burn
Me Alive", passando per l'indie-pop di "I Know These Waters Well", l'ascolto è prezioso ma inconsistente.
Di "The Year Of Magical Drinking" si finisce così per apprezzare, qua e là,
suoni, passaggi isolati, senza che il contenuto più prettamente pop emerga con
forza. Qualcosa di inspiegabilmente interrotto pervade le canzoni del disco,
mai veramente pregnanti, mai definite. Su tutti vale l'esempio di "Teenage
Blood", col ritornello talmente prevedibile da ricordare una versione scarica
dei
Counting Crows, piuttosto che colleghi più attempati ma vitali, come
Ted
Leo.
Una prova buona come "nuovo inizio", ma non certo l'esplosione creativa che ci
si poteva aspettare.
28/01/2011