Quantomeno
Ondarock avrà portato loro fortuna. Qualche mese fa ci ritrovavamo a scrivere,
bene, del primo sospirato disco degli Jang Senato, band di pop minimale molto
autoriale e molto romagnola, un disco autoprodotto in cerca di qualcuno con l'orecchio
fino e l'occhio lungo, che avesse il buon senso di prenderselo in carico e distribuirlo
in giro per l'Italia. Il matrimonio alla fine s'è fatto, e a dirla tutta sembra
proprio essere il più logico e potenzialmente produttivo dei matrimoni.
Avete
presente la Pippola Music, quella di Brunori Sas, Oratio e compagnia bella? Ebbene, gli Jang Senato si sono accasati con lei. D'altronde bastava ascoltare i
quindici brani che componevano il corposo album fatto in casa tirato fuori dai
ragazzi in primavera: se quelle con la Pippola non sono affinità elettive poco
ci manca. Ciò che conta, comunque, è che quel disco ora ha un'etichetta, per di
più di grande qualità, che da qualche settimana lo si può comprare su iTunes e
che in questi giorni finirà pure nei negozi. In più, rispetto ai master
originali, c'è giusto il titolo, che allora ricalcava il nome della band e oggi
è "Lui ama me, lei ama te". Di diverso c'è la copertina, sulla quale ora non
campeggia più un ritratto del gruppo ma un prelato preso dalle spalle
alle gambe, rosario in mano. In meno, invece, c'è qualche pezzo, un
dimagrimento opportuno, che alla raccolta non può fare che bene.
C'è
di che essere soddisfatti, insomma. Tutti. Gli Jang Senato, ovviamente, che
finalmente coronano il talento e l'impegno spesi in questi anni. Matteo
Zanobini e la sua Pippola, poi, che continuano a circondarsi di sempre più
gente in gamba. Noi, infine, che possiamo fare la parte di
quelli che l'avevano detto. Ora non resta altro che dare una sforbiciata anche
a quella nostra recensione. Il risultato è ciò che segue.
Gli Jang Senato sono una delle entità nate dalle
ceneri dei Daunbailò, band stralunata ed esplosiva di patchanka alla romagnola
che intorno alla metà del decennio scorso durò il tempo di un peraltro notevole
album. Eredi degni, alla pari degli Ex di Valerio Corzani (Mau Mau, Mazapegul),
che dei Daunbailò era l'eminenza grigia. Oggi la pagina è voltata del tutto,
anche se certe sonorità restano impresse, per forza, nel loro dna. Oggi, che
finalmente hanno un disco in cui specchiarsi, gli Jang Senato possono davvero
dirsi una band fatta e finita. Questo specchio rimanda l'immagine di un
collettivo affiatato, talentuoso, e con le idee chiare.
Grosso modo la metà dei brani contenuti nel
disco li conoscevamo già. Sono quelli suonati dal vivo, quelli in rotazione nel
loro myspace, giusto con qualche sfumatura in più aggiunta qua e là.
Conoscevamo "La bomba nucleare", ad esempio, dolce ninna nanna sincopata che
starebbe bene in un disco di Dente se a Dente piacesse riempire le sue canzoni
di effetti vari e suoni non convenzionali. Conoscevamo anche meglio "Respirare",
gioiello pop in cui live dopo live si è concentrata la summa dello Jang
Senato-pensiero: ritmo e melodie orecchiabili, testi leggeri ma intelligenti. E
poi "Lamericano", ironia ed energia allo stato puro, probabilmente l'episodio
in cui le influenze dei Daunbailò sono più palpabili, e la elliotsmithiana "Un
tempo", un altro dei vecchi cavalli da battaglia, con la solita donna che fa
penare, evocata e rimpianta ma senza mai perdere la voglia di ridersi,
amaramente, addosso. L'inizio, insomma, è tosto, la voce densa di
Davide "Gulma" Gulmanelli dà sostanza a un tappeto sonoro le cui trame si
intrecciano costantemente sulle note più acute, il ritmo sale e scende, come le
scale sparate dalla chitarra di Alfredo Nuti in "Lamericano". Una specie di
manifesto del Jangsenatismo: questi siamo noi, ed ecco quello che ci riesce
meglio fare.
"Io e te", dopo i rumori di fondo di "Dish" (ora
inglobati in "Un tempo"), si muove sullo stesso binario di "Respirare", con un
ritornello arioso e una struttura molto sixties, tonda tonda, facile facile ma
efficace. Quindi c'è la breve e romantica "Agata", ballata lieve tutta
chitarrine e carillon, che richiama un po' il vecchio De Gregori di "Chissà
dove sei", seguita da "Tempi buoni", quasi uno scanzonato rock steady, tra il
Silvestri di "Pozzo dei desideri" e i Sublime più all'acqua di rose, e dal
mid-tempo spensierato di "La coperta". Infine, dopo l'altro frammento minimale
che è "Gli amanti nuovi", si chiude con la ballatona "Meno di un
treno", ironica e romantica come non potrebbe essere altrimenti, swing e
polvere di stelle.
Era un esame di maturità questo disco. Per la
scrittura di Gulma, per le scelte negli arrangiamenti, in definitiva per capire
da che parte avevano intenzione di andare, questi Jang Senato. Ebbene, l'esame
è superato. La Romagna è una terra fertile per la canzonetta, e i cinque
senatori vengono da un solco della tradizione che hanno voluto allargare,
insozzare ben bene e deviare. E se un'estate fa rimaneva il punto interrogativo
di un'etichetta da rimediare e di un contratto da firmare, ora anche l'ultima
riserva è sciolta. Ora viene il bello. Difficile trovare un motivo per cui
degli Jang Senato non dovremmo sentir parlare a lungo.
10/01/2011