Quello dei Legittimo Brigantaggio, crew di provenienza laziale (Monti Lepini) di cinque elementi capeggiata da Gaetano Lestingi, è - nell'Ep di debutto "Quando le lancette danzeranno all'incontrario" (2003) - un ska-folk-punk non soltanto tradizionale, in grado di sposare l'arguzia di Fabrizio De André alla carica dei Mano Negra, assieme a eleganza, libertà, istinto. Nel primo album, "Senza troppi preamboli" (Blond, 2006), l'umore si fa anche più spiritoso ed eclettico, e iniziano a farsi sentire effetti di produzione nella canzoni. La loro bilancia, tra tecnica e narrativa, e tra parti strumentali e parti cantate, è quanto mai calibrata: cambi di tempo e ripartenze innervano brani come "Alla macchia", e ballate crepuscolari come "La notte del destino" cangiano in recitativi spettrali per fisarmonica, elettronica e recitazione come "La lotta dell'inverno".
Il secondo "Il cielo degli esclusi" (Cinico Disincanto, 2009), con partecipazioni di Modena City Ramblers e Yo Yo Mundi, aggiunge dinamismo punk al loro patchanka creativo e istrionico ("Sudore e fiamme", "La leva infantile del '08"), come pure distensione pop ("Mi lamento", "Mannaggia a te"). Le rime combattenti (e contagiose) di "Il gioco del mondo", vincitrice del premio della critica per Amnesty International, rivelano un montaggio sonico che avrebbe ben figurato in "Tutti morimmo a stento".
Quasi tre anni dopo, il loro capolavoro "Liberamente tratto", mette invece in luce il lato più musicale e meditato. Una nuova coscienza progressiva trasforma il progetto in una sorta di agrodolce psicodramma: soprattutto in "Uscita operai", tutta effetti di montaggio, tagli, cambi di umore, squarci elettronici; "La lettera viola", il rave-up dei Subsonica mischiato all'intelletto dei cantautori, a dissipare ogni facile tentazione di refrain, ritornello, rima; "Eucalyptus", twist-flamenco con arrangiamenti cangianti, tanto fluidi quanto bruschi; "I cieli non sono umani", riff di flauto Jethro Tull-iano e fisarmonica, a punteggiare una severa omelia prog-rock, e un finale di montaggio elettronico.
"Il dado è tratto", forse l'unico momento legato al passato ska-core, qui funge da puro intermezzo. E sfigura in mezzo a numeri come "Ruvido", a metà via tra remix di un tango di Astor Piazzolla, uno sprint da arena alla Ligabue, e una filosofica meta-canzone, o come "Tempo di uccidere", una serenata per chitarra e interferenze radio (e un'ignara seconda voce femminile).
"Affari di famiglia" è una "I cieli non sono umani" ancor più tragica, drammaturgica, con una precisa jam folk-rock che sfuma in note steccanti di clavicembalo, e quindi in una tirata hardcore. Ancor più torrenziale è il finale di "Il diavolo nella camera oscura", a sopraggiungere dopo una parata hard-rock con vocalizzi da muezzin.
Album-svolta per un collettivo eterogeneo, in cui le diverse estrazioni degli strumentisti emergono, dissonano e poi si coagulano: primo tra tutti il poetante Lestingi, cantautore e paroliere, e la band, connessa alle intonazioni elegiache. Concept sull'ispirazione di alcuni classici di narrativa, cinema, pittura e poesia, da cui i brani, testo e musica, sono "liberamente tratti": "Il quarto stato" di Pellizza da Volpedo, "I quattrocento colpi" di Truffaut, "Canale Mussolini" di Pennacchi, "Niente di nuovo" di Remarque, Pasolini, Flaiano. Tristemente arrabbiato, con spezie esistenziali.
19/02/2012