"Much of the mystery, joy, and simplicity of a thoughtful life is lost
in the rigidity of the answers that seem to have been created to support
the brick-and-mortar side of religion."
(Daniel Martin Moore)
Quella
della genesi del terzo album di Daniel Martin Moore, a distanza di tre
anni dall'incantevole esordio "Stray Age", è una storia legata a doppio
filo alla tastiera di un pianoforte a coda: da una parte, lo
scricchiolante piano attorno al quale, da bambino, il cantautore del
Kentucky si raccoglieva con la famiglia per cantare gli inni sacri della
tradizione americana; dall'altra, un vecchio Steinway che campeggia
nello studio della WXVU di Cincinnati, radio presso la quale Moore si
era recato per un'intervista e una performance live.
L'idea di una raccolta di canti gospel ronzava nella mente del songwriter
statunitense da diverso tempo, ed è bastato che le sue dita si
posassero sui tasti del maestoso strumento a coda utilizzato dalla
Cincinnati Symphony Orchestra, perché quell'idea si facesse di nuovo
strada tra i suoi pensieri.
"In
The Cool Of The Day" è dunque una collezione di inni religiosi della
tradizione, cui si aggiungono quattro composizioni originali scritte da
Moore nella stessa vena. Ad accompagnare Daniel, un ristretto gruppo di
musicisti d'eccellenza, tra cui il frontman dei My Morning Jacket (qui nel suo alias
solista Yim Yames) al banjo, il coproduttore dell'album Daniel Joseph
Dorff alla batteria e il violoncellista Ben Sollee, col quale Moore
aveva già condiviso la scena nel suo secondo album "Dear Companion". Il
titolo è un omaggio a Jean Ritchie, cantautrice del Kentucky definita
"the mother of folk" e autrice fra gli altri del salmo "Now Is The Cool
Of The Day", che appare qui in una sentita interpretazione
pianoforte-e-voce.
Il mood
raccolto e rilassato del terzo lavoro di Moore è evidente già
dall'iniziale e sussurrata "All Ye Tenderhearted" (una delle
composizioni originali di Moore), passando per "O My Soul" e per il traditional
"Close Walk With Thee", fino all'emozionate reinterpretazione di
"Softly And Tenderly", brano il cui titolo può essere considerato una
sorta di manifesto programmatico dell'intera poetica del cantautore del
Kentucky.
E,
se nella prima parte dell'album qualche passaggio più ritmato ("Dark
Road", non a caso scelta per presentare l'album, "In The Garden", con il
suo piglio country, "Up Above My Head", quasi danzante e delicatamente
jazzata) porta sottili increspature sulla placida sua superficie, la
seconda parte si caratterizza per un crescendo di spiritualità e fede
(intesa, come lo stesso Moore ci tiene a precisare, come fede nella
musica, nell'arte e in qualsiasi altra cosa) che riesce con semplicità e
delicatezza a toccare in profondità le corde più recondite
dell'ascoltatore. Così non è un caso che "In The Cool Of The Day" si
chiuda con un carezzevole brano originale dal titolo "Set Things
Aright", nel quale Moore duetta con Haley Bonar, talentuosa cantautrice
già apparsa a fianco di Andrew Bird.
Ciò
che più colpisce ascoltando "In The Cool Of The Day" è proprio
l'atmosfera di rinnovata spiritualità dei suoi brani: questi ultimi,
infatti, pur nel rispetto della loro struttura originaria, vengono
espunti dal contesto "gospel" d'appartenenza e rielaborati secondo la
personale sensibilità del cantautore statunitense, il quale li ripropone
in una chiave di lettura estremamente fresca e leggera, svincolandoli
in parte anche dalle implicazioni religiose di partenza. Ne è
testimonianza esemplare "Up Above My Head" - gospel tradizionale
interpretato con baldanzoso vigore da Sister Rosetta Tharpe e Marie
Knight negli anni 50 - nel quale Moore decide di sostituire il termine
"God" con un più "universale": "joy".
"In The Cool Of The Day" attesta le qualità interpretative e le doti
compositive di Daniel Martin Moore, atteso a una conferma dopo il
folgorante esordio, e ne dimostra la duttilità stilistica che permette a
questo giovane (ma già impressionatemene maturo) cantautore di spaziare
dal folk di chiara matrice anglosassone del primo lavoro al country
americano, senza mai predere un briciolo della propria ispirazione e
sensibilità.
03/02/2011