A voler essere davvero poco generosi si dovrebbe parlare di un progetto nato secondo coordinate non dissimili da quelle che dovrebbe seguire un trio jazz. Accade però che un progetto concepito inizialmente non certo per stare in studio quanto sul palco, abbia partorito, nel giro di un paio d'anni, due tra i lavori più interessanti in un limbo nel quale si incontrano jazz, elettronica, ambient, dub e techno.
Pochi anni fa, a causa di un'ischemia in volo, Moritz Von Oswald subì la paralisi della mano destra, il cui tocco felpato le menti illuminate di Delay e Loderbauer, provano, in un certo senso, a ripristinare.
Se l'ascesa verticale del 2009 intrecciava la fila di un suono freddo con un cuore che pulsava vivo, le nuove strutture orizzontali invertono completamente la tendenza. I giochi sonori si colorano di nuovi impianti e nuove sfumature. I substrati ambient dell'esordio vengono addolciti in favore di linee molti più jazzy, di krautismi in dissolvenza - sempre comunque molto gentili, mai spinti - e di una diffusa sensazione di tiepido calore.
Il bello di questo disco sta proprio nel sembrare quasi sospeso, come se non affondasse mai davvero il colpo. Ma si badi bene dal considerare questo aspetto un minus: al contrario si gioca di fioretto, in un esercizio di equilibri e studiata pretattica. Un mood chilly ricopre le cinque strutture, sulle quali si inseriscono le chitarre e i doppi bassi di Mr. Tikiman e Marc Muellbauer della Ecm.
L'ambient dimessa e astratta del brano iniziale reca il marchio indelebile di Delay, tra folate e impalpabilità cronica; la seconda struttura gioca di rimpiattino tra la Germania cosmica seventies, beat tribaleggiante e futurismi sonici. Il viaggio, che a un primo ascolto parrebbe quasi estenuante, squarcia il velo di Maya, mostrandosi a viso aperto nei giochi di chitarre quasi funky in loop all'orizzonte, sommerse da un dub in moto ondoso.
"Horizontal Structure 4" è invece forse l'episodio che più si richiama a "Vertical Ascent": giochi di rifrazione, freddezza, specchi e vetri rotti, che lasciano man mano campo aperto a strutture prima jazz e poi al limite dell'improvvisazione. L'ultima traccia chiude il cerchio, avvicinando scenari dark-ambient.
Non ce la si fa davvero a non voler bene a questi tre. Suonano quasi al rallentatore, eppure ingranano la quarta, sorpassano, salutano e vincono per distacco. Se si giocasse a fioretto sarebbe un 15-0.
05/03/2011