Dopo i fasti critici di “Thirteen“ Robert Miles è pronto a sfornare una serie interminabile di remix e riletture del suo amato progetto per raccogliere successi anche fuori dai confini del rock-progressive.
Le prevedibili ma piacevoli intuizioni di “Thirteen” hanno sollevato polveroni di consensi e interviste a tutto tondo per quello che viene salutato come il genio della rinascita prog italiana, ma nonostante ripetuti tentativi non riesco ancora a modificare il mio tiepido giudizio sull’album, e purtroppo questo trittico di remix non aiuta nella rivalutazione dell’opera.
Elettronica da porn-movies senza erotismo, citazioni rock-pop scolastiche e accademiche, che fanno rimpiangere le clamorose stonature delle eccellenti Would Be Goods, effetti elettronici che trasformano la musica di Giorgio Moroder in avanguardia sperimentale, schitarrate e break ritmici continui non alleggeriscono la catarsi di “Antimony” e l’ipnotico remix di “Deep End” scivola senza trastullare.
Ora attendo la lista di lodi alla sua arte del remix e le grida verso la mia incompetenza critica, ma quello di cui sono sicuro è che Robert Miles sia solo un abile (e forse onesto) trasformista privo di una propria identità.
19/07/2011