Quattro anni dopo "Apron Springs", è una piacevole sensazione ritrovare la The Memory Band di Stephen Cracknell in perfetta forma, anzi ancor più coesa e autorevole nel suo incrocio stilistico tra folk tradizionale e contemporaneo, anche se "Oh My Days" è un album che non convincerà del tutto gli scettici adepti del folk lo-fi.
Non c'è emulazione o magniloquenza nella musica dell'ensemble inglese, il colpo di genio non è una loro peculiarità, le tredici tracce sono una distesa sonora dai toni riflessivi, che evita oscurità weird e guizza tra disuguaglianze stilistiche senza apparente incoerenza, raccordando svariati elementi di folk inglese e americano.
Le suggestioni folktroniche di "Crow", che aprono l'album, citano la Penguin Café Orchestra e introducono il vortice lirico di "A New Skin", nel quale banjo e cajon squarciano la festosa trance emotiva, in bilico tra blues e bluegrass.
Altrove si manifesta un coraggioso e incalzante strumentale, "Blackberry Way", dalla possente struttura percussiva profanata da stranianti accordi di viole e violini che ti aspetteresti in un album di John Cale o di Michael Nyman ma non certo in un progetto folk, uno dei momenti più pregevoli insieme alla superba "Ghosts", ove sono ancora le percussioni a diluire splendenti armonie vocali, mentre un greve harmonium sottolinea il messaggio di timore e speranza del testo.
Al contrario dei folkers più ambiziosi, che in tempi recenti hanno sposato, con molte incertezze, il linguaggio rock, il gruppo di Cracknell non ha bisogno di contaminare il suo universo stilistico, la padronanza di scrittura e la verve anarchica concedono al gruppo di scendere nel girone della musica pop senza sembrare goffo e fuori tono.
Sono delizie semplici quelle di "Run River Run" o di "Electric Light", che sfiorano Crosby, Stills & Nash e Fairport Convention, senza sussulti ma anche senza apatia, brani che hai paura di amare tanta è la loro prevedibilità, ma negarsi piaceri semplici è una cosa ancor più grave.
Protagonista femminile di "Oh My Days" è Hannah Caughlin, alla quale Cracknell affida le emozioni e le storie di un universo adulto in "Some Things You Just Can't Hide", dove l'abbandono e il cinismo vincono sulla ingenuità e lo smarrimento che provoca l'amore, ma è la compagna di sempre Nancy Wallace a rispolverare le felici note della sempiterna "By The Time It Gets Dark".
La ricerca sonora di Cracknell fa pensare spesso a questo terzo album come a un inedito folk project della Penguin Café Orchestra prodotto da Ryuichi Sakamoto, non solo per le atmosfere sospese della conclusiva "The Snake" ma anche per la tensione sottesa a brani come "Apples" e "Demon Days", quest'ultima una splendida ballata intrisa di blues e funky capace di lambire la trance psichedelica ed etnica.
In definitiva, la musica della The Memory Band è un folk pastorale che accoglie tentazioni pagane, ovvero illuminanti contaminazioni che vanno dall'elettronica al blues, rileggendo perfino Graham Bond alla maniera di Nick Cave in "Love Is The Law" e coinvolgendo in poco più di quaranta minuti una pletora di emozioni che disorienta gli effimeri ma trascina i curiosi in un'esplorazione sonora ricca di fascino, "Oh My Days" è un album da amare o ignorare senza compromessi; noi lo amiamo.
17/02/2011