Cemeteries

The Wilderness

2012 (Lefse Records)
ghost-pop

Loveless”. Senza amore. “The Wilderness”. La landa selvaggia. La cosa buffa è che copertine e sound, quella dei My Bloody Valentine e quella dei Cemeteries, ovviamente nomi macabri per entrambi, sono a loro modo simili e speculari. La cosa strana è invece che, piazzando il dischetto nel lettore, alla voce “genere” appare la scritta elettronica.
Elettronica però se ne vede ben poca, e non prima della metà disco (“In The Trees”) quando, ai paladini mondiali dello shoegaze comunemente noto, qui reinterpretati in una veste decisamente più morbida, si sostituiscono gli ugualmente allegri Lali Puna oppure gli Air prima degli Air.

Non avendo nessun press sheet di supporto, siamo costretti a fare uno sforzo non indifferente di memoria. Cemeteries, qui al debutto, dovrebbe avere all'attivo solo una manciata di 7” digitali, usciti solo in rete tra il 2009 e l'anno scorso. Dietro questo nome, si dovrebbe celare un unico ragazzetto di Buffalo, stabilitosi a New York il cui nome è Kyle Reigle. Ecco, questa sembra essere l'unica peculiarità degna di nota del progetto Cemeteries: la capacità di Kyle di riuscire da solo (o almeno così parrebbe) a dare un'idea verosimilmente vera del sound che altre formazioni creavano in tre o in quattro persone.

Appassionato, per sua stessa ammissione, di B-movie horror degli anni Ottanta (“E' solo da questo nasce la scelta del nome”) e di formazioni come i suoi contemporanei Dead Man's Bones e i poco più vecchi Dreamend, il polistrumentista statunitense sembra il classico ragazzo come ne girano molti. "Solo nei posti giusti", si capisce. Retaggio musicale da scaricatore folle e background storico ai minimi termini.
Come del resto è lo stesso Reigle ad ammettere candidamente: “Ogni tanto qualcuno mi dice che gli ricordo un nome storico della musica rock. Ma le mie influenze maggiori sono stati gruppi come i Deerhunter oppure album come “Teen Dream” dei Beach House e “E is for Estranged” e Owen Pallett” e ancora: “Ieri mi hanno detto che la mia musica somiglia agli Slowdive e ne sono contento, non li conoscevo”.

Saremmo tentati di aprire una parentesi socio-culturale su questo andamento generale delle cose, ma evitiamo. Consciamente o inconsciamente, direttamente o indirettamente, “The Wilderness” è un album fermo agli ultimi dieci anni di musica indie americana (o canadese), ma proiettata inesorabilmente indietro al secolo scorso. Cranes, Cocteau Twins, Mazzy Star, i primissimi Swervedriver e Medicine, ma anche accenni di Bjork, Laika e Seefeel.
Quella di Cemeteries è una carezza impalpabile da parte della Morte, o quanto meno quella della morte della Musica come l'abbiamo comunemente e cronologicamente intesa per anni. Una carezza che si promana flebile e sicura tra i microcosmi emozionali dell'essere.

Ogni ostacolo contenutistico, ogni possibile accusa di plagio (“Young Smoke”, “Roosting Towns”) è aggirata con savoir-faire, ogni piccolo angolo della musica è smussato con morbida e suadente manualità (“Summer Smoke”), ogni limitazione impreziosita da arrangiamenti (fin troppo) evocativi (“The Wilderness”, “What Did You See”, “Brighter Colors”).
Un piccolo gioiello, questo disco, se si devono compiere diciott'anni il prossimo mese o ci si chiama Simon Reynolds. Nella speranza che Kyle Reigle si faccia, magari con il tempo, un po' di spalle.

20/11/2012

Tracklist

  1. Young Blood
  2. The Wilderness
  3. What Did You See?
  4. Summer Smoke
  5. In The Trees
  6. Roosting Towns
  7. Leland
  8. Brighter Colors
  9. A Real Gust Of Wind


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