Il quarto album dei Flipron, “Firework Shoes”, ripropone ancora una volta il problema della frantumazione stilistica continua e incessante, in quella linea creativa che genera infinite sfumature che restano amabilmente relegate a un cult-status, piccole nicchie che creano inattesi capolavori o album piacevolmente inutili.
I quattro di Glastonbury proseguono nel loro funambolico insieme di cabaret, beat e psichedelia, che già nei toni più chamber del loro secondo capitolo “Biscuits For Cerberus” aveva disorientato la critica, per poi spiazzarla ulteriormente con l’improvvisa virata verso i suoni della vecchia 2-tone. Dopo aver preso quindi confidenza con strumenti analogici e vecchie diavolerie elettroniche in “Gravity Calling”, i Flipron giocano la carta dell’ibridazione imperfetta.
Si susseguono dunque diavolerie blues in chiave glam (“Rose Petal Blues”), psichedelia pop sbilenca (la geniale ”Low-Life Seeking Elevation” e “Back Where We Started Again”) e jazz da vecchio serial tv (“Round & Round The Sun” e “The Comet Returns”), il tutto inebriato da fumi ska grazie all’originale produzione di Rat Scabies e alla collaborazione di Neville Staple degli Specials.
Nell’orgia di riesumazioni sonore dai toni vintage la musica di “Firework Shoes” è una boccata d’ossigeno, un album di pop inconsueto e poco canonico, in cui i ritornelli non sono catchy ma insolenti (quasi da stadio o da pub fumoso), e gli arrangiamenti mostrano un mix di blues, power-pop, psychedelia, punk, glam, country e folk mai prevedibile o noioso.
Il quarto album dei Flipron non è l'attesa rivoluzione del pop inglese, ma senza alcun dubbio sono dischi come questo quelli che rendono più piacevole e stimolante il panorama musicale odierno.
06/02/2013