Flying Colors - Flying Colors

2012 (Mascot Label Group)
aor-prog

Mike Portnoy è uno di quei tipi che detestano stare con le mani in mano. A parte quei rari momenti dedicati alle opere casalinghe, l'ex-batterista dei Dream Theater vive con il pensiero fisso di condividere le proprie passioni: i capelli lunghi, i tatuaggi, la musica, o meglio un mix musicale fatto di rock supersonico, pieno di barocchismi ma anche di melodia di stampo beatlesiano, ricco di virtuosismi, lungaggini per i vicini di appartamento, giunti oltre il livello di sopportazione da almeno un decennio, colmo tanto di citazioni quanto di stacchi poliritmici. Un workaholic patentato e sempre sorridente. Pare quasi di vederlo balzare fuori dal letto, in piena notte, e correre verso il telefono per importunare il malcapitato collega di turno sull'ultima intuizione in 12/8, sognata sotto gli effetti della visione di un Dvd dedicato a Gene Krupa.

Nell'anno 2012 il baffuto drummer potrebbe aver trovato la cosiddetta quadra, un quintetto dai trascorsi abbastanza omogenei, un prog-rock dai contorni hard centrifugato con qualche finezza jazz-fusion, composto da gregari (il funambolico bassista mascherato Dave La Rue), da leader generosi quali Steve Morse e Neal Morse, da outsider sorprendenti come Casey McPherson, titolare del microfono oltreché unico trentenne dell'esperta compagnia. Ed è proprio l'ugola sofferta, a tratti molto soul a regalare la spinta decisiva all'oretta di svisate imbastite dai compari virtuosi.
Così la materia proposta svela ben presto la sua carta segreta: un animo pop che corrobora, arricchisce e alla fine domina l'intero piatto. I rimandi allora si manifestano senza più alcuna remora, e sono anche piuttosto semplici da scovare: Kansas, lo storico cantante di questi ultimi Steve Walsh, titolare di un debutto solista nel lontano 1980 facilmente accostabile alle rime di questi colori cangianti, Journey.

Un hard-prog-pop muscolare, il legame con la gloriosa e spesso poco rispettata era del Aor, che viene riallacciato per la gioia di grandi e piccini. Undici brani lineari eppure super-sfaccettati, come l'opening track “Blue Ocean”, condotta con piglio sicuro da una ritmica solida ma mai scontata, fino all'apoteosi di un ritornello eroico e arioso; al resto ci pensano le mani di Steve Morse, i polpastrelli più crossover di tutti i tempi, un suono secco e corposo allo stesso tempo, linee ficcanti, fortemente imparentate con la melodia ma sempre a bordo di un groove infinito.
E' un'atmosfera calda e appassionata quella che pervade tutto il tragitto colorato, percorso da ex-bambini cresciuti che amano giocare alla citazione più consona alla singola canzone: dalla cavalcata di “Kayla”, con intrecci di chitarra classica, un ritornello corale da stadio, un break sognante alla Brian Wilson che preannuncia Canterbury, al giovanilismo credibile di “The Storm” (sulle tracce ormai smarrite da Jon Bon Jovi), dallo spumeggiante riff pianistico di “Love Is What I'm Waiting For” che si libera in un refrain classicamente britpop, alla commozione progressiva di “Everything Changes”, aperta dai passi di danza medievali di Steve Morse ed esaltata da un chorus vagamente coldplayano, spezzato improvvisamente da un recitato che omaggia sentitamente i Supertramp.

Ottimismo, cuori palpitanti e chili di air guitar, fino all'apoteosi di “Infinite Fire”, sorta di riassunto dell'intero album: undici minuti in cui si rincorrono linee vocali nere e bianche perfettamente accordate, riff e carezze chitarristiche, un ritmica variegata ma mai presuntuosa, tastiere dotate di grande senso della misura e di gusto; fino a che il solito Steve non decide di dare il via al circo, tra assoli e unisoni, ma senza che una nota una venga sprecata. Trapezisti sì, ma con un cuore grande così.

26/12/2012

Tracklist

  1. Blue Ocean
  2. Shoulda Coulda Woulda
  3. Kayla
  4. The Storm
  5. Forever in a Daze
  6. Love is What I’m Waiting For
  7. Everything Changes
  8. Better Than Walking Away
  9. All Falls Down
  10. Fool in My Heart
  11. Infinite Fire

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