Jaill

Casa mia, casa mia, per quanto piccina tu sia, tu mi sembri una badia: questo detto sembra calzare a pennello per parte del panorama musicale odierno. La moltiplicazione degli artisti di belle speranze e le continue creazioni di stili alimenta una pletora di artisti carta-carbone il cui ruolo è alquanto dubbio, ognuno comunque chiuso nella sua nicchia stilistica.
Vincent Kircher, Austin Dutmer, and Andrew Harris sono del Wisconsin, praticano il power-pop da oltre dieci, Justin Perkins è il loro produttore dal tocco magico e la Sub Pop la loro label, e infine "Traps" il terzo album dal 2009, ma non credo ci sia altro di importante da segnalare.

Certamente l'esordio "That's How We Burn" aveva l'energia adatta per farci sorridere, ma l'ovvietà si annidava tra le melodie beat e pop del gruppo.
Non basta suonare e steccare come i primi Beatles per essere trascinanti in "Perfect Ten", non è sufficiente avere quella malata verve da school-band per sentirsi alternative nella confusa "Everyone's A Bitch", ma ancor più triste e dover cedere le armi all'elettronica con effetti disastrosi in episodi come "Horrible Things".

Metafore e luoghi comuni si avvicendano tra le undici tracce che hanno l'ambizione del rock-garage e cercano senza successo il brio del power-pop, franando tra le braccia del pop psichedelico con accordi e armonie che nemmeno in stato di ubriachezza hanno consistenza.
Un album che mette insieme un brano orrido come "House With Haunting", una ballad elementare come "Madness" e un raro guizzo di creatività in "Ten Teardrops", è esemplare di uno status di cult-band incapace di elevare il suo standard è inevitabilmente vittima della sua ristretta nicchia stilistica, i Jaill hanno perso ogni speranza di dimostrarsi se non intelligenti almeno furbi.

22/08/2012