"Mohn" è il secondo incontro tra le due vecchie volpi della techno ambientale, a quasi quindici anni dallo splendido "Las Vegas", riconfermando in sostanza quanto già sapevamo sui due e arricchendo tuttavia la ricetta tradizionale con altre idee, eccitanti anche quando non nuovissime.
Come ogni buona produzione teutonica che si rispetti, "Mohn" ha una scorza dura e alquanto introversa: "Einrauschen" accoglie con un drone freddo e incolore, denso di screziature glitch, mentre "Schwarzer Schwan" batte torbido e secco un beat condito appena con riverberi e cori tenebrosi mandati in loop. "Ambientôt” apre finalmente a un po' di luce, indicando in alto alcune soffici nuvole post-rock e una cadenza quasi downtempo che scandisce l'unico ritmo propriamente detto del disco. Segue una manciata di numeri d'alta classe che solo maestri di prim'ordine potevano forgiare: dall'elettronica old schood di "Saturn" alla la fitta perturbazione di "Das Feld", degna del miglior Gas, fino alla rinfrescante pioggia sintetica di "Ebertplatz 2020" e l'estasi totale di "Wiegenlied".
Voigt e Burger giocano di fino, reggono "Mohn" su quel perfetto equilibrio tra rimandi e citazioni e lampi innovativi, dosano al meglio le loro possibilità senza strafare né limitarsi al minimo sindacale - che pure accetteremmo di buon grado. Niente di particolarmente rivoluzionario, si potrebbe concludere: vero, "Mohn" è in definitiva "soltanto" un puro trastullo di inutile e arcana goduria uditiva.
(21/06/2012)