UV Pop

No Songs Tomorrow (ristampa)

2012 (Mannequin / Sacred Bones)
post-punk, minimal synth

Sheffield: un nome, una garanzia per chi conosce la new wave: Artery, Comsat Angels, Human League, Cabaret Voltaire, Clock Dva, Abc, In The Nursery e molti altri ancora. Nomi che hanno bisogno di poche presentazioni, e ognuno di essi ha scalpellato una sfaccettaura immortale di quel Golia polimorfo che è appunto la new wave. Consiglio: ascoltateli di nuovo e sentirete un po' di ognuno (chi più chi meno) nel lavoro degli UV Pop. Un lavoro che fonde idee forti con l'approccio low-fi del punk, ma già verso la deriva romantica della disillusione: il rabbioso slogan No Future! è diventato il più poetico no songs tomorrow.
Culto nel collezionismo underground che raggiunge facilmente prezzi a tre cifre, gli UV Pop riuscirono ad accaparrarsi un posto nella classifica alternativa della Rough Trade nel lontano '82, ma senza poi avere eccessiva visibilità presso il "grande" pubblico. Eppure il loro nome non è scomparso, e dopo trent'anni di fatiche, un paio di antologie (tra cui una facilmente recuperabile della Genetic Music e un'altra reperibile presso il Bandcamp del gruppo) ecco che la Sacred Bones, assieme alla nostrana Mannequin, riesce a riproporci il loro primo album "No Songs Tomorrow" in formato sia analogico sia digitale.

Etichette fedeli a una linea editoriale precisa, con questa pubblicazione smentiscono subito le possibili premesse di un'uscita identica a mille altre: un disco quasi folk, di primo acchito, ma incrociato con il minimalismo dei sintetizzatori di seconda mano. Nell'ascolto però si trovano subito intrecci di chitarra acustica ed elettrica, una drum machine primitiva che duetta con tinte di synth (usato spesso come lento organo) e poco altro, lasciando davvero trasparire la sensazione di un'opera di una sola persona alle prese con tutto, dalla composizione alla registrazione - fatta in casa con un semplice quattro piste usato - fino alla foto di copertina.
Ma si respira non solo il Do-It-Yourself tipico del punk (ai semplici tre accordi si aggiungono le evoluzioni espressive soliste della chitarra), ma anche un approccio - appunto - folk, quel cantare se stessi ad ogni costo che sa di vuoto e di pieno, di luce e ombra, d'ingenuità e di forte personalità, di sperimentazione e melodia accattivante, di miseria di perifieria e di mondo intero.

Certo, non mancano gli episodi da classifica, come l'hit sotterranea che è "Sleep Don't Talk", con la sua aggressiva struttura à-la "Nag Nag Nag" dei Cabaret Voltaire; rimangono di certo impresse la romantica title track così come la delicata "See You", col suo crescendo, mentre ho trovato "Psalm" veramente irresistile nel suo recitare un "anti credo" disilluso di ogni religione o filosofia, con una cadenza ipnotica molto suadente e quasi rilassante.
John White stesso, mente principale di questo progetto e, nello specifico esordio, persino unica, ha fatto notare che ha "dovuto" dividere l'album in due facciate abbastanza omogenee, la prima più pop - che comprende, oltre i titoli già visti, le strumentali "Portrait", "IC", "Commitment", incentrate sulla chitarra e più "tecniche" - mentre la seconda più sperimentale ed elettronica, con le spigolose, quasi-Pil, "Arcade Fun" e "HaFun Kiddies" (soprattutto nella sua versione originale, aggiunta come traccia bonus), le incursioni di sax in "Four Minute Warm" su un ritmo quasi stressante e le lunghe note d'organetto sintetico.
Chiudono tre pezzi extra, tra cui "Superstition" che si fa notare per la rinnovata presenza del sassofono, stavolta vero protagonista lasciando il resto di accompagnamento, e la totalmente acustica "Amsterdam", chiudendo in maniera non dissimile da come è iniziato il disco, ma rinnovata, spogliata e sempre accorata.

Per i più prosaici: al fine di dare un'idea più solida di come si possa sentire, direi che i nomi che sono più accostabili possono essere, con le dovute distanze soprattutto vocali (che non a caso danno un'impronta identitaria fortissima e univoca ai progetti citati) siano quello degli Eyeless In Gaza, con il loro minimalismo pregno di malinconia, languore e poesia, e quello dei Royal Family And The Poor nel loro mix tra acustico ed elettronico senza dimenticare testi non privi di sfumature politiche. Se vogliamo spaziare ancora, potremmo addirittura scomodare qualcosa dei Durutti Column, anche se il virtuosismo chitarristico è di ben altro livello e obiettivo.
Non un disco così facile come potrebbe sembrare: c'è il post-punk, c'è il cantautorato, ci sono gli assoli di chitarra, c'è una sperimentazione ingenua e scheletrica, quasi cruda, c'è la voce calda e soffusa di White che vive anche da sola.

Come giudicare quest'uscita? Certo, una ristampa ha gioco facile, con la conoscenza accumulata negli anni da cui pescare, il tam tam sotterraneo che permette di proporre senza fallo dei dischi di ottima qualità, difficilmente robetta trascurabile, ma nobile di un passato difficile.
Ma non è solo la nostalgia o la moda che muove all'ascolto, bensì la passione pura, quella che trabocca dal modesto ragazzo che aveva urgenza di esprimersi seppur con pochi mezzi, quella che ha appassionato persone per decenni, a discapito di tutti i travagli di reperibilità e la scarsità di informazioni.
E ora tocca ai nuovi appassionati, quelli nati con il revival post punk di qualche anno fa, poter scoprire un'eterogenea gemma di questo tipo, e scoprire che pure il poco ha in sé lo spettro del molto.




21/04/2012

Tracklist

  1. No Songs Tomorrow
  2. Portrait (Extended)
  3. Some Win This
  4. See You
  5. I.C.
  6. Psalm
  7. Sleep Don't Talk
  8. Commitment
  9. Arcade Fun
  10. Hafunkiddies
  11. Four Minute Warning
  12. Superstition
  13. Hafunkiddies (Original Version)
  14. Amsterdam

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