Il quartetto londinese scrive infatti dell'ottimo pop, lontanamente influenzato dai Beach Boys e invece molto più vicino agli ultimi eccellenti Drums, mettendoci dentro anche reminiscenze smithsiane per la chitarra, fino ad arrivare a similitudini con i misconosciuti (ma da rivalutare) Blind Mr. Jones per il gusto fine nell'arrangiamento.
L'album si apre con "Vague Hotel", brano meraviglioso basato su una pulsante e ripetitiva strofa su cui si staglia la voce di Doran Edwards che rimanda, nella tonalità adottate, alle splendide stagioni del pop inglese tra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta. Il pezzo diventa arioso e leggiadro nel suo ritornello, cui segue un'efficace idea della sei corde che gioca con riff tra wave e il rock anni 50.
Dopo una canzone così si rimane assolutamente incuriositi di conoscere il seguito, sperando che il tutto si possa mantenere su questi livelli e che il tutto non si trasformi, invece, in qualcosa di anonimo dopo il guizzo iniziale. "Hurt So Bad", altro gioiellino pop che unisce epoche diverse con sorprendente facilità, spazza fortunatamente via le negatività supposte.
Tutti gli elementi della perfetta canzone melodica, che non sia però ovvia, sono a posto. I cori sono ben concepiti, la chitarra ha sempre la pennata intelligente - che non è solo d'accompagnamento, ma che è protagonista anche con qualche singola nota, come insegna Johnny Marr.
"Holding Nails" avrebbe potuto fare una bella figura in "Portamento" dei già citati Drums, per quel mix di solarità e nostalgica malinconia, sia nei suoni sia nei testi, tanto da rivelare quest'album come un florilegio di gusto melodico, di leggera psichedelia e sensibilità espressiva non comuni.
"Choreography" non deve mancare nella colonna sonora di un'estate che diventerà un tenero ricordo quando nelle stagioni fredde, o più in là nel tempo, si riascolteranno le sue belle dodici tracce.
(25/06/2012)