Se nell’ottimo “Chunk” si concentravano su soluzioni più sperimentali e radicali, in “like likes like” i Denseland si assestano su sonorità relativamente più digeribili, gettando un ponte tra retaggi cold-wave, soluzioni avant-improv e ipotesi di ballabili robotici.
Le texture elettroniche di Hanno Leichtmann e Hannes Strobl si concentrano su beat e pulsazioni ripetitivo-circolari, a tratti scalfite da fratture e luccicanze misteriose. La voce di David Moss, invece, meno isterica e più avvolgente, avanza nell’ombra con fare ipnotico e ansiogeno, col suo magnetico “sprechgesang”, tecnica vocale a cavallo tra canto e spoken-word. Gli equilibri sono sempre calcolati al millesimo e tutti i brani sono avvolti da una scorza algida/astratta, dal notturno angoscioso in slow-motion funk di “Transfer Desk” agli sprazzi di techno cerebrale di “More They Say”, dai soundscapes fumosi in cui si agitano sparsi simboli percussivi di “Glass Jar” agli scheletri che danzano nell’ombra di “Hum Of Sonic”, passando per gli spasmi sinuosi e le stranianti pose di Laurie Anderson in “Connected”, fino ai continuum stordenti di “Big White Circle”.
Gli oltre sette minuti di “Horse Of Your Dreams”, in coda, galoppano, invece, solenni verso la luce alla fine del tunnel.
Non siamo sui livelli creativi del loro esordio, ma questa opera seconda è comunque degna di attenzione, se non altro perché potrebbe portare alla loro corte un maggior numero di seguaci.
16/08/2013