Che cosa resta di quella poderosa, meccanica macchina math-core che maciullava le menti di noi ignari seguaci, chi più chi meno, del puro e semplice hard-core? Che cosa resta di quegli assurdi undici brani di “Calculating Infinity”, della furia matematica dirompente, dei suoi eccessi metodici e della sua esasperazione sonica?
In realtà resta poco perché, nella formazione capitanata da Ben Weinman, i cambi di line-up, gli addii e i benvenuti sembrano cosa all’ordine del giorno ed è difficile mantenere intatta una certa forma stilistica (sensazionale proprio all’esordio full length nel 1999) quando cambiano continuamente gli interpreti e gli esecutori. Non dimenticherò mai uno spezzone di un’esibizione live in cui il frontman dei Dillinger Escape Plan saltò nella folla dal palco, ma non nella maniera di un qualsiasi Robert Plant, non a volo d’angelo, ma correndo per cinque metri sopra le teste del pubblico incredulo.
Quell’immagine è sempre stata per me una sorta di memorandum della musica della band del New Jersey, una specie di fotografia ben fissa nella mente che mi aiutava a ricordarne e figurare, non solo la perfezione esecutiva ma anche la sventatezza espressiva. Ovviamente, è proprio in fase live che sarebbe opportuno valutare il lavoro di un quartetto come questo ma, l’uscita di “One Of Us Is The Killer”, quinto lavoro sulla lunga distanza, ci dà l’occasione per tornare ad apprezzarne anche la resa in studio. Siamo ovviamente distanti dal già citato debutto, ma questo “One Of Us Is The Killer” riesce comunque, con fasi altalenanti, a farsi apprezzare anche dai fan di vecchia data, grazie soprattutto al lavoro dell’unico membro “originale”, proprio il chitarrista Ben Weinman, che mantiene intatto lo scheletro manieristico basato su tempi dispari, puntualità esecutiva, grindcore, variazioni industrial e chitarra di stampo jazzistico.
Tutti gli elementi positivi sono ravvisabili già in fase d’apertura (“Prancer”), quando le note ci aggrediscono con un’impetuosità devastante da convulsioni, tipica proprio del grindcore, prima di sciogliersi in un midtempo di pregevole fattura e quindi esplodere nuovamente in un ultratecnico nervosismo chitarristico.
Come già spesso accaduto anche negli episodi precedenti, non possono mancare accostamenti a band come Converge (“When I Lost My Beat”) che si rivelano tuttavia sempre come composte similitudini dalla peculiare personalità. Spettacolari anche talune scelte stilistiche (“One Of Us Is The Killer”) nelle quali sembra quasi che i Mars Volta abbiano “abbassato” l’accordatura e messo il gain al massimo. Sempre presenti i richiami al grind, non mancano, come già detto, neanche i passaggi di stampo jazzy che, generalmente, tendono ad aprirsi in sonorità più che altro sludge e doom metal (“Hero Of The Soviet Union”).
Tra i pezzi più complessi vanno citati “Understanding Decay”, nel quale la violenza sintetica stile Locust di “Aotkpta” si mescola in maniera impeccabile con sludge e addirittura stoner-rock, ma ancor più il successivo “Paranoia Shields”, dai vaghi rimandi agli esordi della band, con le sue immagini industrial che si sciolgono in un rock sincopato il quale, intervallato da un breve momento d’irreale tranquillità (quasi da sala d’aspetto), si trasforma poi in un crescendo di melodia e robustezza, aggraziato da eccellenti linee vocali.
Infine, da apprezzare anche il binomio che chiude il disco. Prima un connubio tra noir e disperazione, tecnicismo e chitarre piene e possenti che gela l’aria in un’atmosfera minacciosa (“Crossburner”) e quindi la conclusione sensazionale ("The Threat Posed By Nuclear Weapons") che unisce, in maniera schizoide, la rabbia che fa da filo conduttore a tutta l’opera con una sensazione di surreale pace apocalittica.
La cosa che invece piace meno dell’album è questo spiraglio, che si nota in certi passaggi, verso un quasi rock-pop dal facile ascolto e che spesso è solo celato da un’ossessiva cattiveria operativa. Esempio è il brano “Nothing’s Funny”, che presenta proprio questo tipo di struttura, chiudendosi in un finale ultra-melodico, specie per il genere.
Inoltre, non saranno certo contenti gli amanti estremi dell’originalità e della ricerca sonora (qui si limita a pochissimi passi, esempio l’intermezzo “CH 375 268 277 ARS”), i quali non apprezzeranno certo né l’eccessiva ripetizione dei concetti ormai abusati anche dagli stessi Dillinger Escape Plan, né la sperimentazione spinta al minimo indispensabile (esempio in negativo, “Magic That I Held You Prisoner”).
I Dillinger Escape Plan scrivono dunque un nuovo capitolo della loro saga violenta. Una saga che forse avrebbe meritato maggiore attenzione, ma che innegabilmente ha sofferto le pene dovute all’impossibilità di mantenere una line-up stabile. “One Of Us Is The Killer” finisce per affliggersi degli stessi malanni della band, da un lato ancorata alla necessità di non snaturare la propria essenza racchiusa in Weinman, dall’altro protesa verso nuove strade che rischiano di rivelarsi pericolosamente inadeguate - eppure mantiene intatta una carica senza eguali.
07/08/2013