Cosa significa arrivare al giro di boa dei 70 anni e dare alle stampe un album che è, in un certo senso, il disco della vita? Bisognerebbe chiederlo a Garland Jeffreys, newyorkese doc nelle cui vene scorre sangue africano, portoricano e americano e che dal 1970 regala pagine di grande intensità con lavori quali l’omonimo del ’73, “Ghost Writer” arrivato 4 anni più tardi e “American Boy & Girl” giunto alla fine del decennio. “Truth Serum” è un disco maledettamente onesto, in cui le debolezze del songwriter sono talmente scoperte da far provare fitte di dolore, bello nel senso classico del termine e pregno di quel sentimento di rivalsa che emerge facendo i conti con l’età, il music business, la vita, e che rende infine liberi.
La title track ricorda gli Stones più marci affogati nel blues che tanto piace a Richards. “It’s What I Am” è la propria esistenza vista dal fondo di un bicchiere, ancora una volta sulle orme (questa volta melò) di Jagger e soci tra “Far Away Eyes” e “Wild Horses”; ma è anche un brano offerto in pasto al pubblico con tale lucidità e schiettezza da far pensare alle confessioni alcoliche di Mary Gauthier (“I Drink”). “Dragons To Slay” dà una severa lezione a chi pensa che i ritmi in levare siano solo made in Kingston, così come “Colorblind Love”, un po’ lascivo sulla scia di Jimmy Cliff e un po’ meticcio come Bankie Banx. “Is This The Real World” è, insieme a “It’s What I Am”, uno degli episodi più ispirati di un lotto praticamente perfetto nell’alternanza di stili, emozioni, sfumature: tra speranza e disillusione, con un respiro talmente ampio da ricordare l’epicità di Springsteen, Garland si chiede se valga la pena vivere in questo mondo e quanto di vero ci sia al risveglio madido di ogni giorno che sembra più faticoso di quello che l’ha preceduto.
Qui troverete grinta, poesia, delusione, amarezza, picchi di gioia e richiami di oblio, niente di più, solo la grande piccola vita di un immenso cantastorie (“Ship Of Fools”).
15/03/2014